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Putin riporta la Russia ai tempi degli Zar ma spinge l’Europa alla catarsi: intervista a Franco Ferrarotti

INTERVISTA A FRANCO FERRAROTTI, il più celebre sociologo italiano – “La guerra è sempre una tragedia ma, pur senza volerlo, Putin sta spingendo l’Europa a ritrovare se stessa – Non sorprende la mediocrità di una parte dei nostri gruppi dirigenti e della società affascinati da Putin come uomo forte: succedeva così anche ai tempi del Duce”

Putin riporta la Russia ai tempi degli Zar ma   spinge l’Europa alla catarsi: intervista a Franco Ferrarotti

La guerra è sempre una tragedia, fatta di morti e di sangue, e quella scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina non fa eccezione. Però, come la pandemia “ci ha fatto scoprire l’unità della famiglia umana”, altrettanto la guerra di Putin, oltre a un colossale salto indietro nella storia della Russia, può avere un effetto paradossale ed è quello di spingere l’Europa ad essere se stessa e a rilanciarsi attorno a grandi valori ideali. “Non voglio cullare illusioni ma questo non è il momento di disperare” sostiene con convinzione, in questa intervista a FIRSTonline, Franco Ferrarotti, il più celebre dei sociologi italiani e studioso apprezzato in tutto il mondo. Ma, insieme alla fiducia e alla speranza sui processi politici che la guerra può insperabilmente avviare in Europa, Ferrarotti, che ha analizzato per tutta la vita gli orientamenti della società italiana e della sua classe politica, non è sorpreso nemmeno dai rigurgiti filorussi che – da Berlusconi a Salvini e a Conte – attraversano una parte dei gruppi politici malgrado la forte impronta atlantista ed europeista di Mario Draghi (“una lieta eccezione dovuta al genio salvifico del Presidente Mattarella”) ma attraggono anche ambienti accademici e pezzi dell’opinione pubblica. “E’ il fascino dell’uomo forte che purtroppo in Italia abbiamo conosciuto da vicino all’epoca del Duce”. Più complesso il discorso sull’antiamericanismo su cui le riflessioni di Ferrarotti non sono mai banali. Ma sentiamo il suo punto di vista su uno dei momenti più drammatici del nostro secolo.

Professor Ferrarotti, il 24 febbraio scorso l’invasione russa dell’Ucraina ha segnato la fine di un’epoca e il ritorno sulla scena della guerra alle porte di casa che intere generazioni non conoscevano da oltre settant’anni. Come e quando finirà il conflitto Russia-Ucraina ancora non si sa, ma certamente la guerra, insieme alla pandemia, ha sconvolto equilibri politici ed economici mondiali. È difficile capire dove stiamo andando. Lei che cosa vede all’orizzonte?

“Vedo un grosso passo indietro nella storia perché la guerra ha effetti più devastanti della pandemia che, pur nella tragedia delle vite umane perdute, ha avuto e ha una fase catartica che ci ha fatto scoprire l’unità della famiglia umana. Invece la guerra cominciata con l’invasione russa dell’Ucraina ci riportato indietro non tanto alla Seconda Guerra Mondiale ma addirittura ai tempi delle guerre napoleoniche del generale Von Clausewitz, che concepiva la guerra come unica possibilità di rapporto con l’alterità dell’altro e come atto di forza per ridurre l’avversario al proprio volere. Quando Putin sostiene che quello di Lenin di creare l’Ucraina nel 1917 fu un errore storico crea disorientamento e ci riporta non tanto all’Urss, ma addirittura all’impero dello Zar ossessionato dall’accerchiamento dell’Occidente. Questa non è una guerra come le altre, ma è un confronto tragico e sanguinoso tra l’Est autocratico e l’Occidente non privo di difetti ma pur sempre democratico”.

Da padre riconosciuto della sociologia in Italia, Lei è abituato a studiare e ad analizzare la società italiana e i suoi orientamenti: si aspettava che, a fronte di una chiara impronta atlantista ed europeista del Governo Draghi e del suo netto sostegno all’Ucraina, emergessero in alcune parti della classe politica (da Berlusconi a Salvini e a Conte) ma anche nell’opinione pubblica un sentimento dichiaratamente filo-Putin e un visibile antiamericanismo? Come si spiega?

“Sinceramente quello che sta avvenendo in Italia non mi sorprende e conferma la mediocrità di larga parte dei gruppi dirigenti, rispetto ai quali un leader dello spessore internazionale di Mario Draghi è una lieta eccezione, ma pur sempre un’eccezione, resa possibile dal genio salvifico del Presidente Mattarella. L’avvicinarsi delle elezioni eccita l’irrazionalità e il carattere istintivo di opposizioni o di gruppi politici privi di qualsiasi visione e che si autoriproducono solo attraverso l’esercizio del potere”.

Ma come si spiega l’affascinazione per Putin che affiora non solo in alcuni gruppi politici ma anche in ambienti intellettuali e in fasce della popolazione italiana? Secondo Lei, che origini ha?

“Purtroppo è il fascino dell’uomo forte e della personalizzazione del potere che nel nostro Paese ha radici antiche. Non dimentichiamoci che i fascisti vedevano Mussolini, il duce, come l’uomo della provvidenza. È un segno di decadenza che contrasta con le regole democratiche ma con cui bisogna fare i conti”.

E invece l’antiamericanismo da dove nasce?

“Malgrado il mio grande amore per gli Stati Uniti e per la loro democrazia, l’antiamericanismo è principalmente l’altra faccia dell’incapacità degli Usa di gestire un impero e di esercitare una posizione egemonica senza reale egemonia. Spero che comprendano che la via per alzare il loro indice di gradimento nel mondo non è certo quello dell’isolazionismo, che spesso riaffiora”.

Professore, ma non le sembra inverosimile che in alcune parti politiche e in certi ambienti intellettuali si ponga sullo stesso piano l’aggressione russa all’Ucraina e l’Occidente pur con i suoi indubitabili errori, ritardi e incomprensioni? Secondo Lei, è solo il frutto di pregiudizi ideologici o anche di complicità con la Russia, emerse clamorosamente negli Usa ai tempi di Trump ma anche in Europa e in Italia?

“Non parlerei di pregiudizi ideologici ma di una questione per così dire di pelle, di istinti primordiali legati alla sopravvivenza e alla sopraffazione e alimentati da una sorta di paramafiosità che è diffusa nel nostro Paese. Non è il familismo amorale dell’Italia di cui parlava Banfield, ma l’idea aberrante che tutto si può risolvere con la complicità di una pacca sulle spalle o di una stretta di mano, di cui la visita di Putin in una delle tante ville di Berlusconi è rimasta un po’ il simbolo di un modo di fare politica fuori dalle regole e dalla trasparenza istituzionale. È la contraddizione tra forza e debolezza dell’Italia – tra la filosofia del volemose bene e manifestazioni di criminale ferocia – che il nostro Paese ha nella sua storia e che non è mai riuscito a scrollarsi di dosso, forse anche per la sua posizione geografica in un mare chiuso come il Mediterraneo. La società italiana è attraversata da spinte istintive per nulla razionali che solo una classe politica degna di questo mondo potrebbe assorbire e mediare come è avvenuto in certi periodi della nostra storia”.

In una recente intervista alla rivista cattolica “Il regno” il filosofo Biagio De Giovanni ha sostenuto che l’unità dell’Occidente tra Usa ed Europa è la sola risposta possibile al declino e al suicidio dell’Occidente stesso: Usa ed Europa sono arrivati al bivio tra crisi e catarsi?

“L’Europa è certamente a un bivio tra il suo declino e il suo rilancio ma non credo che l’Occidente nel suo complesso si possa considerare in crisi, perché è sempre ancorato alla democrazia, che non sarà perfetta e che spesso è lenta, ma resta pur sempre il miglior regime possibile, purchè non si riduca a semplici procedure ma si alimenti di grandi valori ideali, come la giustizia, l’eguaglianza e la libertà. Da questo punto di vista, Putin, pur senza volerlo, sta rendendo un servizio storico soprattutto all’Europa, spingendola alla catarsi e ad essere se stessa, cioè un’Europa non ispirata dalla concezione gollista dell’Europa delle Patrie ma un’Europa unita da forti valori ideali come la immaginavano Jean Monet e Pierre Mendès France”.

Le quotidiane difficoltà sulle sanzioni anti-Putin e l’impossibilità di uscire dall’immobilismo della Ue per il vincolo delle votazioni dei 27 all’unanimità, anzichè a maggioranza, raccontano però di un’Europa che, dopo il salto di qualità del Next Generation Eu, fatica ad essere protagonista tra Russia e America.

“Ma è nei momenti di difficoltà che si impara a superare gli ostacoli e, pur non dimenticando mai che la guerra è una tragedia fatta di morti e di sangue, io conservo un barlume di speranza sul futuro dell’Europa e confido che proprio la guerra possa spingerla alla catarsi e a riscoprire le sue vere radici. Le prove della verità che l’attendono sono due: una politica estera comune e un solo esercito europeo. Non voglio cullare illusioni ma questo non è il momento di disperare”.

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