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Putin dove porterà la Russia? Annessione del Donbass post-invasione lo scenario più probabile

ВО Свобода, CC BY 3.0 , via Wikimedia Commons

Anche a Mosca se lo chiedono. E ora che siamo entrati in Ucraina? Come procediamo? Dove ci sta portando il nuovo zar? Entriamo in guerra per ricostruire l’ex Urss? Le parole di Putin in tv a rete unificate hanno agghiacciato quanti dopo 30 anni pensavano di essere entrati in un mondo nuovo. Non democratico come avevano sperato nel 1991, ma sicuramente non totalitario come era l’Unione Sovietica. La verità è che nessuno può conoscere la risposta alla domanda delle domande. Perché in primo luogo siamo di fronte a un “approccio paranoico” alla politica, come in maniera acuta giudica, conversando con FIRSTonline, il comportamento di Putin Stefano Silvestri, conoscitore attento di questioni geopolitiche e militari, consigliere scientifico dello Iai, già presidente dell’Istituto Affari Internazionali. E di fronte a un atteggiamento del genere è difficile fare appello alla razionalità, troppe varianti.

L’unica cosa certa è che la strada della diplomazia è tanto più indispensabile quanto più impervia è diventata. “Si sta verificando il secondo degli scenari che molti analisti avevano immaginato durante le prime settimane della crisi: l’invasione del Donbass, dopo il riconoscimento delle due Repubbliche russofone di Donetsk e Lagansk, con successiva e probabile annessione di quella parte di Ucraina”, spiega Silvestri a FIRSTonline.

Cosa succederà in Ucraina?

E ora, appunto? “L’unica cosa certa – continua Silvestri – è che adesso inizia una nuova fase dei rapporti fra i protagonisti, con negoziati che dovranno per prima cosa fermare i carri armati russi e la fase calda del conflitto. Passeranno delle settimane, non accadrà ovviamente dalla sera alla mattina. Soprattutto dopo le parole di fuoco di Putin in televisione che ha riscritto la storia cancellando dalla cartina europea l’Ucraina come Stato indipendente, avendo come unico obiettivo quello di giustificare l’assalto e l’invasione: è sempre stata russa, andiamocela a riprendere”. 

Ma nessun analista al momento ritiene che Putin voglia arrivare a Kiev. È probabile che ci ritroveremo a una edizione bis dell’intervento russo in Georgia, nel 2008, quando l’Ossezia fu strappata a Tblisi e ancora oggi si trova sotto l’influenza russa. A meno che non ci sia un conflitto largo che veda l’esercito ucraino direttamente in campo contro quello russo. E tutto può accadere, lo abbiamo visto. Ma si ha fiducia nel pensare che Kiev venga scoraggiata dagli alleati occidentali dallo scendere in guerra aperta con Mosca: dove porterebbe questa scintilla fa tremare ogni cancelleria e ogni singolo europeo.

Insomma alla fine della nuova fase (ritiro dell’esercito russo, negoziati e congelamento della situazione alla “georgiana”) il risultato sarà comunque uno solo: Putin con la forza avrà recuperato un altro pezzo di Ucraina. Eppure chiunque abbia seguito le evoluzioni del pensiero del presidente russo sull’argomento ricorda che egli avrebbe preferito di gran lunga la soluzione “Protocollo di Minsk”, cioè quella dell’autonomia delle due Repubbliche dentro i confini ucraini, secondo il modello Alto Adige scelto dall’Italia. Non fosse altro che per evitare la rogna di amministrare i due territori con problemi giganteschi e stremati da sette anni di guerra. Ma l’Ucraina, pur avendo firmato quel Protocollo, non ha mai fatto nulla per praticarlo essendo stato il Donbass argomento di campagne elettorali nazionaliste per tutti i leader che si sono succeduti, Zelensky compreso, l’attore comico che si trova ora a dirigere quel Paese.  

E adesso che Putin ha varcato le frontiere, anche per i russi, come ha detto il suo ministro degli Esteri, Lavrov, “Minsk è carta straccia”.

La reazione dell’Unione Europea

Di fronte a tutto ciò, che cosa dovremmo fare noi europei?  Punto numero 1, e riguarda tutti gli Occidentali: se Putin non vuole capire che per badare alla sicurezza del suo popolo non può ricostruire l’Urss, anche l’Occidente non può pensare di guardare ancora a quel Paese come il “nemico” da circondare con Alleati per renderlo inoffensivo. Non dimentichiamo che sette degli otto paesi dell’ex Patto di Varsavia sono entrati nella Nato: anche uno meno paranoico di Putin ne sarebbe impressionato. La verità è che quei Paesi vedono nella Nato una scelta di libertà e di democrazia, mentre essa è solo un’alleanza militare. Sarebbe tempo di praticare quella riforma di cui si è molto parlato a partire dal 1991, alla caduta del comunismo, e che prevedeva di coinvolgere anche la Russia. 

Punto numero 2, il ruolo di noi europei. Prendiamo a prestito le parole di Silvestri: “Il quadro della sicurezza europea è cambiato, non è più quello della Guerra Fredda e nemmeno del dopo-Muro. Non possiamo più contare su una presunta superiorità strategica americana e nemmeno ritenerci al riparo dietro una strategia chiara di contenimento e di deterrenza. Dobbiamo darci da fare in proprio”. 

Dalla Cina all’Africa: sfere di influenza “variabili”

Perché – non dimentichiamolo – sempre di più in futuro “dovremo fare i conti con frontiere e sfere di influenza “variabili”, messe sotto pressione non solo dalla Russia, ma anche da numerose altre medie potenze nazionaliste e ambiziose, come la Turchia, l’Iran, Israele, il Pakistan, l’India, ecc. ecc.”. Senza contare l’Africa, come ancora fa notare il consigliere scientifico dello Iai. Organizziamo dialoghi fra l’Unione Europea e l’Unione Africana e poi si lascia il Mali, si traccheggia in Libia, siamo muti in Sudan, in Etiopia, in Eritrea. Lasciando il campo a tutti, perfino ai mercenari. 

Gli Usa – è ormai chiaro – hanno nel futuro il confronto (o scontro?) con la Cina che li porterà sempre di più ad essere presenti nel Pacifico. Anche stavolta, grazie alle nuove tecnologie, sono stati un passo avanti agli europei, non credendo alle aperture di dialogo che Putin lanciava ora a Macron, ora a Scholz, e smontando i piani di Mosca con la politica della chiarezza dei movimenti dell’esercito russo sul terreno. È probabile che sia uno degli ultimi interventi americani in Europa.

È inevitabile quindi, oltre che necessario, che provvediamo da soli alla nostra sicurezza. Siamo in grado di farlo? La pandemia ha dimostrato che quando vogliono gli europei parlano con una voce sola e con atti unanimi, ora dovrebbero provare a farlo anche in politica estera. I tempi sono maturi.  

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