Gli americani del ceto medio, così come molti europei, hanno subito le conseguenze più dolorose della crisi economica e dei cambiamenti epocali del commercio internazionale. Non è solo una questione di arretramento economico, ma soprattutto si è diffusa una generale paura derivante dall’offuscarsi delle prospettive positive di un miglioramento della posizione sociale per sé e per i propri figli. La risposta di Trump (simile a quella di molti leader europei) è stata quella di promettere una maggiore protezione della produzione americana rispetto alle importazioni e un vasto programma di opere pubbliche finanziato in deficit dato che contemporaneamente il bilancio federale dovrebbe risentire dei minori incassi derivanti dalla promessa di riduzione delle tasse sul ceto medio e sulle imprese.
Insomma, una risposta classica di stampo novecentesco, probabilmente non adatta a fronteggiare problemi che hanno origini diverse da quelle che avevano causato le crisi del secolo scorso e che potrebbero avere risultati del tutto opposti a quelli immaginati sia sull’economia sia, soprattutto, sul versante della politica internazionale.
Molto dipenderà dalle dosi della cura Trump che verranno concretamente somministrate, ma il protezionismo potrebbe avere un effetto del tutto opposto a quello desiderato. Infatti invece di rafforzare il ceto medio, aumenterebbe, e di molto, il peso delle grandi corporation prevalentemente basate negli Usa. Favorirebbe quindi i monopoli e le loro politiche di prezzo che certo danneggerebbero proprio quelle classi medio-basse che si vorrebbe favorire.
Anche gli investimenti in infrastrutture, pure ritenuti necessari, potrebbero portare ben poco lavoro ai bianchi americani, mentre richiederebbero un forte aumento degli immigrati che invece Trump ha promesso di rimandare a casa. Se poi questa politica dovesse portare ad un deprezzamento del dollaro, il resto del mondo subirebbe un ulteriore effetto depressivo oltre a quello derivante dal rallentamento del commercio mondiale dovuto all’innalzamento dei muri tariffari. Come è già stato dimostrato nel secolo scorso il protezionismo in economia porta ad un generale impoverimento e non riuscirebbe nemmeno a curare quelle diseguaglianze lamentate dalla classe media.
Ma ancora più gravi sarebbero le conseguenze politiche dell’imposizione di barriere tariffarie o normative al commercio, specie in Europa dove peraltro ci sono già diverse forze politiche che propugnano ricette simili a quelle americane. In Europa la chiusura dell’economia entro i confini di casa, sarebbe inevitabilmente accompagnata da un ritorno al nazionalismo, simile a quello che abbiamo già conosciuto diversi decenni fa e che tanti lutti ha seminato nel mondo intero.
Sotto l’aspetto strettamente politico, la volontà del nuovo presidente di avviare una politica distensiva verso la Russia di Putin, pur se in teoria può essere una buona cosa, potrebbe rappresentare un pericolo grave per l’Europa, specie se questa politica venisse affiancata da un parziale ritiro americano dalla Nato e da un abbandono delle garanzie verso molti paesi dell’ Est europeo insieme ad un ritiro dal teatro del Medio Oriente. L’ Europa, debole e divisa, rischia di trovarsi esposta alla voglia della Russia di ricreare alle sue frontiere occidentali quantomeno una serie di stati cuscinetto retti da regimi attenti agli interessi di Mosca, mentre dal punto di vista dell’economia sarebbe penalizzata dal diffondersi del neo-protezionismo (che coinvolgerebbe anche la Cina ed il resto dell’Asia) con la conseguente catena di azioni e ritorsioni.
Contrariamente a quello che dice il pentastellato Di Battista (che evidentemente non ha avuto tempo di studiare bene la storia) la pace con la Russia potrebbe non essere una buona cosa per l’Europa, che sarebbe la prima a doverne pagare il prezzo e che dovrebbe quantomeno varare un grosso programma di riarmo per tenere a bada la fame dell’Orso Russo. Ed allora altro che F 35, dovremo fare molto, ma molto di più.
Il populismo americano ed il relativo abbandono del ruolo di gendarme del mondo, sono diversi dal nazionalismo europeo. Lì comunque c’è un paese forte che, dopo lo scontro elettorale cerca di ritrovare una base unitaria nell’essere tutti americani, mentre in Europa il ritorno entro le frontiere dei singoli Stati non solo distruggerebbe la fragile costruzione comunitaria, ma è destinato a portare un ulteriore grave impoverimento della popolazione all’interno dei singoli paesi. Altro che riconquista della sovranità popolare di cui cianciano i Salvini e i Grillo, ci ritroveremmo con vincoli nazionali ed internazionali molto più stringenti di quelli che con troppa superficialità ora tendiamo a rifiutare.