L’esaurimento di una stagione di crescita economica generalizzata nei “nuovi mercati” pone il tema – anche, se non soprattutto, per il made in Italy – della selezione dei paesi al centro delle strategie delle imprese. Una possibile discriminante è rappresentata dallo spazio della politica economica per sostenere la domanda nel breve periodo e influenzare la capacità di spesa dei consumatori
Durante la crisi le imprese italiane hanno puntato con maggiore decisione sui mercati emergenti, trovando condizioni favorevoli nella rapida espansione di una classe di consumatori benestanti orientati all’acquisto di prodotti di fascia medio-alta per soddisfare i loro bisogni di qualità, moda e design. I legami tra produttori italiani e nuovi mercati possono consolidarsi anche in questa fase di minore espansione delle aree emergenti, a condizione che le imprese riescano a discriminare tra le diverse economie. Al riguardo, un possibile fattore di selezione è rappresentato dallo spazio a disposizione dei governi per sostenere la crescita e i consumi: le politiche monetarie e fiscali possono contrastare nel breve il rallentamento congiunturale e, se affiancate da riforme strutturali, creare le condizioni per recuperare un sentiero di crescita sostenibile nel medio periodo.
Questa sfida è più complessa che in passato: in alcuni importanti mercati i margini d’intervento si sono ridimensionati. Se tra il 2001 e il 2008 la combinazione di crescita vigorosa e di comportamenti prudenti in ambito fiscale aveva favorito un miglioramento dei fondamentali di finanza pubblica, oggi il quadro si presenta decisamente deteriorato (fig.1). Anche la politica monetaria sconta minori spazi di manovra rispetto agli anni post crisi, specialmente nei paesi in cui il deprezzamento delle valute nazionali, a partire dall’estate 2013, ha portato l’inflazione a superare l’obiettivo delle banche centrali, con l’effetto di indurle a mantenere i tassi di riferimento su livelli elevati (fig.2).
Per tenere conto delle situazioni differenziate all’interno del mondo emergente, abbiamo esaminato il posizionamento di trenta nuovi mercati[1] rispetto a variabili che possono condizionare l’orientamento della politica economica. In relazione alla politica monetaria abbiamo preso in considerazione il tasso di inflazione, il credito al settore privato, il regime del tasso di cambio, la dimensione del debito estero in valuta. Per la politica di bilancio abbiamo fatto riferimento al saldo di bilancio e al debito pubblico (in rapporto al PIL), oltre a un indicatore delle performance fiscali passate e a una misura del rischio sul debito sovrano.
A partire da questo set informativo una cluster analysis ha consentito di suddividere le economie analizzate in cinque gruppi omogenei dal punto di vista dei fondamentali macroeconomici (tab.1) e che, quindi, verosimilmente potranno condividere orientamenti analoghi di politica economica. Principale elemento discriminante tra i gruppi è rappresentato dal regime del tasso di cambio, poiché esso condiziona il potere discrezionale dell’autorità monetaria di un paese e influisce sulla capacità di assorbimento degli shock macroeconomici.
Il primo cluster è formato dai nuovi mercati in cui i margini per politiche espansive sono maggiori, sia pure con alcune distinzioni. Tra questi, Polonia, Ungheria, Filippine e Tailandia hanno beneficiato dall’evoluzione dei mercati delle materie prime che ha spinto l’inflazione su livelli bassi (se non negativi) e ha contribuito a contenere i disavanzi pubblici. Tali condizioni favoriscono il mantenimento di politiche monetarie accomodanti, permettendo spazi di intervento anche per le politiche di bilancio. Per le economie asiatiche, India in particolare, la rimodulazione di sussidi e prezzi amministrati dovrebbe consentire una riallocazione della spesa pubblica a favore degli investimenti in infrastrutture, istruzione, sanità e altre prestazioni sociali.
Nonostante siano attribuiti al cluster con le migliori potenzialità, Messico, Turchia e Sudafrica presentano fattori di debolezza strutturale e di squilibrio macroeconomico che suggeriscono cautela nell’eventuale allentamento della politica economica. L’economia turca, in particolare, rimane vulnerabile all’elevata dipendenza dai finanziamenti internazionali a breve termine, pur in riduzione dal 2014.
Il secondo cluster include i paesi relativamente “virtuosi”, cioè con alcuni margini per le politiche economiche, ma che trovano un vincolo nei regimi di cambio fissi o amministrati. Marocco e Tunisia nel Nord Africa, Malesia, Vietnam e Cina in Asia ed Emirati Arabi Uniti sono accumunati da un’inflazione contenuta e, con l’eccezione degli Emirati, da una situazione meno critica dei conti pubblici. Non mancano elementi di fragilità, legati all’eccessiva crescita del credito, in primo luogo in Cina, e allo stock di debito estero, in alcuni casi elevato (oltre il 60% del PIL in Malesia). Per le autorità cinesi la priorità di politica economica rimane, comunque, il riequilibrio della crescita a favore di un maggior peso dei consumi e dei servizi, rispetto a investimenti e industria.
Il terzo cluster è formato da paesi con un basso debito estero e pubblico ma con saldi di bilancio in deterioramento a causa del calo degli introiti petroliferi. Per questi oil exporter non emergono spazi per politiche espansive nel breve periodo, mentre potrebbero aprirsi interessanti opportunità nel medio-lungo termine grazie all’avanzamento delle riforme strutturali, finalizzate a ridurre la vulnerabilità ai mercati petroliferi e a rafforzare il potenziale di crescita dei settori non-oil. Il quarto cluster include i paesi con elevati squilibri macroeconomici, in cui le politiche fiscali e monetarie rimarranno orientate alla stabilizzazione, anche per l’esigenza di recuperare credibilità sui mercati internazionali. Russia, Brasile, Ghana e Argentina sono mercati caratterizzati da pressioni inflazionistiche elevate, se non fuori controllo (come nel caso argentino), e con un quadro di finanza pubblica che si è ulteriormente deteriorato nel 2015. Inoltre, la composizione del debito estero evidenzia una quota mediamente elevata di debito denominato in valuta – soprattutto per Brasile e Russia – con rischi per la sua sostenibilità nell’ipotesi di nuove tensioni sui mercati valutari.
Il quinto cluster include infine i tre paesi più vulnerabili. Angola (specializzata nel settore estrattivo), Egitto e Pakistan, importatori netti di petrolio, sono accomunati da rilevanti squilibri: persistenti spinte inflazionistiche (specialmente in Egitto e Angola), debiti pubblici elevati (con una punta del 90% del PIL in Egitto) e in deterioramento. Le condizioni macro potrebbero migliorare nel medio-lungo termine, soprattutto se al necessario aggiustamento fiscale sapranno affiancare progressi nelle riforme economiche e sociali.
Sulla base dell’analisi sviluppata si possono, quindi, individuare due gruppi di paesi che, pur nei limiti imposti in alcuni casi dagli squilibri macroeconomici, dispongono di un maggiore spazio per interventi a sostegno della capacità di spesa dei consumatori. Tra questi ultimi, alcuni mercati (in particolare Cina, Emirati, Messico, Polonia) presentano caratteristiche – in termini di crescita della classe benestante, fattori demografici e culturali, modelli di consumo – potenzialmente favorevoli per la domanda di prodotti del Made in Italy.