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Prometeia: solo nel 2021 il Pil tornerà ai livelli pre-crisi

Dopo aver perso l’11% del PIL nelle due recessioni sperimentate nel corso di questa crisi, l’economia italiana sembra essersi avviata lungo un sentiero di lenta crescita che, per il 2014 sarà dello 0.7%, mentre potrà oscillare tra l’1 e l’1.5% nei due anni successivi, raggiungendo il livello di PIL del 2007 solamente nel 2021. Il reddito disponibile tornerà a crescere da quest’anno trascinando in positivo anche la variazione dei consumi. L’aumento della propensione al risparmio che ne consegue nei prossimi sette anni è la combinazione di due effetti opposti. Da un lato, l’evoluzione demografica e l’implicito effetto coorte osservato nel passato che mostra che generazioni successive alle medesime età hanno una propensione al risparmio minore delle precedenti e, dall’altro, il fatto che la ricchezza finanziaria pro capite si è ridotta in questi anni, il che spinge le fasce di età più mature, ancora al lavoro, alla ricostituzione dei livelli precedenti.

L’inflazione rimarrà sotto il 2% in linea con quella europea. Le esportazioni saranno un importante fattore di sostegno della crescita, anche se il loro contenuto di valore aggiunto non è elevato. Ciò non suggerisce di ridurne il peso bensì di utilizzare l’internazionalizzazione delle imprese per aumentare lo stimolo all’innovazione, questa sì fattore di sostegno alla formazione di valore aggiunto. La ripresa nella formazione di reddito disponibile verrà da un atteggiamento meno restrittivo della finanza pubblica, dalla limitata inflazione (anche per l’assenza di aumenti rilevanti dei prezzi dell’energia) e dall’occupazione, che riprenderà a crescere nel 2015 recuperando, nei prossimi sette anni, 1.1 milioni di posti di lavoro degli 1.9 milioni persi dall’inizio della crisi. La riforma del mercato del lavoro che si prospetta dovrebbe contribuire ad attenuare il costo che i giovani stanno in questo periodo sopportando.

Nello scenario della previsione di Prometeia nel 2014 e nel 2015 si stima un arresto del sentiero di consolidamento del disavanzo. L’indebitamento netto delle AP è previsto al 3 per cento del PIL anche nel 2014 nei livelli effettivi, 0.9 per cento in termini strutturali, e al 2.5 per cento nel 2015, con una riduzione che è guidata dai minori effetti ciclici ma non riflette un miglioramento strutturale. Ex-post, dunque, l’impulso delle politiche di bilancio risulterebbe espansivo nel 2014, per circa lo 0.4 per cento del PIL. Esso deriva dalla riduzione del cuneo fiscale annunciata dal governo già a inizio marzo e dalla accelerazione della spesa per investimenti, il cui flusso è stimato maggiore mediamente di 4 miliardi rispetto a quello tendenziale.

Utilizzati i rimborsi dei debiti delle AP prevalentemente per la riduzione dell’esposizione nei confronti delle banche da parte delle imprese e superata la fase di stress test, nel 2015 i prestiti all’economia da parte delle banche ritorneranno a crescere in linea con l’espansione del PIL nominale. Mentre dal 2019 le sofferenze cominceranno a ridursi in proporzione agli impieghi complessivi.

Diverso sarebbe lo scenario nel caso di messa in atto del QE europeo. Pur avendo ipotizzato acquisti che si limitano al debito pubblico, l’effetto riduzione dei tassi di interesse e soprattutto dello spread Btp Bund dovrebbe favorire l’aumento dell’elasticità prestiti/PIL nominale attraverso la riduzione generalizzata del rischio che lo spread veicola. Il risultato anche in Italia sarebbe una dinamica incrementale degli investimenti notevolmente più sostenuta di quella incrementale dei consumi, il che sosterrebbe un PIL mediamente più elevato di circa mezzo punto percentuale, in grado di arrestare la disinflazione senza effetti rilevanti esercitati dal deprezzamento dell’euro. Anche la finanza pubblica trarrebbe giovamento da questa azione di politica monetaria: l’indebitamento netto in termini di PIL sarebbe più basso in media di 0.6 punti percentuali ogni anno e il rapporto debito pubblico PIL di 4.34 punti percentuali alla fine del periodo.

Pressione fiscale in riduzione. Le manovre ipotizzate sul cuneo fiscale riportano in riduzione la pressione fiscale nell’anno in corso e, in modo relativamente più marcato, nel 2015 quando gli sgravi andranno a regime. Nel 2014 scende la pressione da tributi diretti, dal 15.3 al 15 per cento; i nuovi sgravi Irpef si sommano ai maggiori effetti delle misure introdotte dalla legge di stabilità, sgravi Irpef e effetti dell’Ace sulle imposte delle imprese. Tra le imposte indirette, invece, prevarrà nel primo anno l’effetto di aumento impresso dalla legislazione vigente, tra cui i maggiori incassi dalle imposte immobiliari, e il gettito complessivo crescerà in termini di PIL dal 14.5 al 14.8 per cento. A fine 2015 il peso di entrate tributarie e contributi arriverebbe al 43.4 % del PIL e resterebbe costante nell’anno successivo, attestandosi ancora a livelli massimi storici.

Il costo del debito è di nuovo in riduzione. Dopo due anni di forti aumenti, la spesa per interessi passivi si è ridotta del 5.1% rispetto al 2012, come atteso e il costo medio è sceso al 4.1%. Si sono consolidati i risparmi sulle emissioni a medio e lungo termine effettuate nella seconda parte del 2012 e i tassi dei nuovi collocamenti sono stati particolarmente bassi lungo tutti i mesi del 2013 e per tutti i titoli. Il risparmio è stato di oltre 4.4 miliardi di euro, e si può attribuire in misura analoga a entrambi i comparti a breve e a medio lungo termine.

Tuttavia, non ci sono le condizioni perché si possa ricavare una sorta di tesoretto dalla riduzione della spesa per interessi passivi. Da un lato il livello di nuovo fabbisogno da finanziare è alto, gravato anche nel 2014 dagli ulteriori pagamenti di debiti pregressi programmati (e qui stimati in circa 35 miliardi di euro). Dall’altro lo stock di titoli in scadenza nel 2014 ha cedola media ponderata relativamente bassa: 3.8 quella dei 108.2miliardi di Btp che scadono nell’anno in corso. I maggiori risparmi sono limitati ai titoli a più breve termine e a quelli indicizzati, ad esempio i Ctz a 24 mesi, per i quali i rinnovi nel 2014 sono stimati a tassi medi dell’1.5% a fronte del 3.1 per cento di quelli in scadenza; si tratta però di uno stock di titoli decisamente meno rilevante (56 miliardi le scadenze del 2014). La spesa per interessi scenderebbe così ulteriormente nel 2014 ma in misura marginale, arrivando al 5.2% del Pil, coerente con un costo medio del debito complessivo appena sotto al 4%.

Nel 2015 e 2016 la riduzione dello spread proseguirà a un ritmo contenuto, rallentato nel primo anno dalla dinamica del debito e dalla parziale deviazione dagli obiettivi di consolidamento dei conti pubblici: 160pb il livello previsto a fine 2015, 150 a fine 2016. Una riduzione che, però, non si riflette in un nuovo calo del costo all’emissione, dal momento che il livello del Bund è stimato in aumento già dalla seconda parte del 2014, con il consolidarsi della ripresa internazionale. Il tasso medio ponderato sui titoli a m/l termine italiani resta comunque su livelli storicamente bassi, calmierato anche dalla bassa inflazione: 4.1% a fine 2015, 4.4 per cento a fine 2016. La spesa per interessi passivi tornerebbe così crescente nei livelli, mantenendosi però costante in termini di Pil così come rimarrebbe costante il costo medio del debito.

Segni di ripresa degli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto. Dopo la forte contrazione subita nel corso della fase recessiva, gli investimenti hanno cominciato a presentare timidi segni di recupero nel 2013. Essi hanno riguardato la domanda di beni strumentali delle imprese e in particolare la componente costituita dai mezzi di trasporto. Nel quarto trimestre quest’ultima ha riportato un altro netto aumento che ha contribuito alla ripresa dell’economia (0.2 punti percentuali). La spesa per macchinari e attrezzature ha continuato a contrarsi ma a un ritmo più contenuto.

La dinamica degli investimenti ha riflesso il miglioramento del clima di fiducia delle imprese e delle prospettive di domanda. Il grado di utilizzo degli impianti si è poi portato su livelli non distanti da quelli prevalenti nel periodo precedente l’avvio della fase recessiva anche se inferiori alla media di lungo periodo. Mentre la stretta creditizia non sembra essersi allentata, è proseguito il pagamento dei crediti commerciali nei confronti delle Amministrazioni Pubbliche.

Pur non escludendo la possibilità di una correzione della domanda di mezzi di trasporto, caratterizzata da elevata erraticità, le informazioni per il primo trimestre 2014 sono in generale positive. Le attese delle imprese sull’andamento dell’economia a breve termine sono migliorate ulteriormente. I giudizi sugli ordini interni nel primo trimestre sono rimasti invariati rispetto al quarto del 2013. La produzione nel comparto dei beni strumentali ha presentato un andamento altalenante ma nella media del periodo gennaio-febbraio si è collocata su livelli superiori dell’1.9% a quelli del quarto trimestre suggerendo la possibilità di una accelerazione rispetto al quarto (0.4%). Secondo le attese delle imprese il recupero dell’attività produttiva dovrebbe poi continuare nel periodo successivo.

Export. L’esordio dell’esportazioni nel primo mese del 2014 non è stato certo brillante, a prezzi correnti esse hanno registrato una flessione congiunturale sia verso l’Ue (-1.7 %) sia vero i mercati non Ue (-1.2 %). l risultato deludente nell’extra-Ue è imputabile in parte ai prodotti energetici, al netto dei quali esse sono, infatti, leggermente aumentate. L’evoluzione dei diversi indicatori qualitativi e quantitativi ci porta a stimare per il primo trimestre una sostanziale stabilità delle quantità di merci esportate. Nell’anno esse aumenteranno del 2.6 %, un po’ meno rispetto alla crescita della domanda potenziale (3 %), in conseguenza al permanere del cambio dollaro-euro su valori medi di 1.34. La ripresa della domanda di investimenti, dopo due anni di contrazione, e il ripristino del processo di accumulazione delle scorte faranno da traino alla domanda di importazioni, accrescendo in modo repentino la loro penetrazione (misurata come rapporto tra importazioni e domanda aggregata). Nel biennio 2015-2016, le esportazioni saranno favorite dalla crescita della domanda potenziale al 6% e dall’indebolimento del tasso di cambio dell’euro; in media esse aumenteranno del 5.5 %.

Mercato del lavoro in peggioramento anche in questa prima parte dell’anno. I dati più recenti segnalano che anche nei primi due mesi dell’anno è proseguito il peggioramento delle condizioni occupazionali: il tasso di disoccupazione è ulteriormente cresciuto e ha raggiunto il livello record del 13% al netto degli effetti stagionali. Nonostante la previsione di una ripresa della produzione industriale e del PIL che prosegue e via via si rafforza, questi strascichi della recessione continueranno a manifestarsi e prevediamo che l’occupazione non crescerà fino alla fine dell’anno, portando con sé un aumento ulteriore del tasso di disoccupazione che arriverà a toccare il 13.4%. Prevediamo dunque che l’occupazione cresca di qui alla fine del 2016 recuperando 300 mila unità di lavoro standard, 370 mila posizioni lavorative. A fronte del milione e 900 mila unità (1 milione di posizioni) perse dal 2007, si sarà ancora ben lontani dai livelli pre-crisi. Così come lontana dai livelli pre-crisi sarà la disoccupazione, che rimarrà dagli oltre 3 milioni attuali a 3 milioni alla fine del 2016, l’11.8% delle forze di lavoro.

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