Lo spread tra Btp e Bund si è ridotto di 50pb tra dicembre e gennaio ed è tornato ai livelli della primavera del 2011, l’inflazione è scesa allo 0.7 per cento, un minimo storico nonostante l’aumento delle aliquote dell’Iva, l’economia italiana, impegnata in un faticoso processo di riequilibrio dei conti pubblici, sta lentamente tornando a crescere, aiutata anche da un virtuoso contenimento dei prezzi interni. Gli investitori internazionali riconoscono tale percorso di riduzione del rischio-paese facendo affluire capitali verso il nostro debito pubblico. Questa positiva chiave di lettura non deve però far trascurare altre interpretazioni possibili di quanto sta accadendo.
I dati più recenti confermano che il Pil italiano ha smesso di cadere nel terzo trimestre dello scorso anno e che la produzione industriale è in crescita, con l’eccezione del mese di luglio, da maggio. A novembre, ultimo dato disponibile, aveva recuperato 1.2 punti percentuali sul terzo trimestre. Gli indicatori qualitativi, clima di fiducia e Pmi, confermano il miglioramento delle attese delle imprese, con particolare riferimento al rilancio della domanda estera, mentre le famiglie manifestano ancora molta incertezza. In effetti, le esportazioni sembrano in ripresa, soprattutto quelle dirette all’area euro, mentre le indicazioni sui consumi e sulla produzione nell’edilizia non mostrano ancora segni netti di risveglio. Questa perdurante debolezza dei consumi spiega uno dei dati che più hanno sorpreso in questi mesi, ossia la discesa dell’inflazione al consumo, arrivata allo 0.7 per cento alla fine dello scorso anno, nonostante l’incremento dell’aliquota normale dell’Iva intervenuto in ottobre. L’occupazione, che era rimasta stabile durante l’estate, è nuovamente caduta nei mesi autunnali, portando il tasso di disoccupazione al 12.7 per cento, un nuovo massimo.
Si conferma dunque quel procedere della congiuntura tra buone notizie e docce fredde che Prometeia aveva già rilevato nel Rapporto di Ottobre e che è, a ben vedere, il tipico incedere delle fasi di inversione ciclica, quando alcuni settori anticipano la svolta e altri la ritardano. Nel complesso, notizie che confermano che il Pil sarebbe cresciuto nel quarto trimestre dello scorso anno di 0.4 per cento. L’entità della revisione non è però tale da modificare la stima di un Pil in caduta dell’1.8 per cento nel 2013.
Il contesto internazionale attesta che una ripresa è in atto e che essa, pur non particolarmente brillante, sosterrà il recupero delle esportazioni. Tutto secondo le attese, dunque, se non che il cambio dell’euro rimane apprezzato e getta forse più di un sassolino negli ingranaggi della ripresa.
Ma non sarà sufficiente la ripresa internazionale a garantire all’Italia l’uscita dalla recessione. La seconda condizione necessaria è la riduzione della frammentazione finanziaria e la possibilità che la liquidità, mantenuta abbondante dalla politica monetaria espansiva, affluisca veramente alle imprese italiane, in aggiunta ai crediti arretrati dei quali le Ap stanno accelerando i pagamenti. Se prima del 2008 non si trovava evidenza dell’esistenza di vincoli di liquidità nelle decisioni di investimento delle imprese, successivamente, invece, un’imprevista restrizione del credito risulta influenzare la realizzazione degli investimenti pianificati. Non solo, ma le stime effettuate sembrano suggerire, rispetto a quanto accaduto negli anni iniziali della Grande Recessione, che il vincolo di liquidità abbia agito in misura maggiore durante la più recente delle due ondate recessive che hanno interessato l’Italia che il non ottenimento del credito abbia comportato una revisione al ribasso dei piani d’investimento in misura maggiore. È ancora presto per trarre conclusioni sugli effetti dell’iniezione di liquidità apportata dal pagamento degli arretrati delle Ap ma i primi risultati segnalano che questi fondi sono andati a ridurre l’indebitamento delle imprese piuttosto che a finanziare gli investimenti. Perché la ripresa si possa avviare e mantenere nel prossimo biennio è dunque necessario che l’aumento di liquidità si traduca in maggiore credito bancario per le imprese e si accompagni, da parte del sistema finanziario, allo sviluppo di fonti di finanziamento esterno altro da quello bancario. Ma i vincoli che recessione e scadenze istituzionali e normative stanno imponendo al sistema bancario renderanno tale percorso particolarmente arduo.
Altro elemento discriminante per le potenzialità e la qualità della ripresa è la politica fiscale. Nel Rapporto di ottobre si ipotizzava, in linea con un orientamento che si andava diffondendo anche a livello di istituzioni europee, che nel 2014 la politica di bilancio sarebbe divenuta espansiva sull’economia. La Legge di Stabilità approvata dal Parlamento ha in parte disatteso tali aspettative non solo perché l’effetto netto è inferiore a quanto da Prometeia considerato (2.5 miliardi di maggiore indebitamento nel 2014, pari allo 0.2 per cento del Pil a fronte di 6 miliardi), ma soprattutto perché nella sua composizione la manovra fraziona le poche risorse disponibili in misure di entità anche molto modeste, difficilmente in grado di massimizzare solo gli effetti economici. Rispetto a quanto previsto tre mesi fa, si può valutare che l’impatto sulla crescita del 2014, già modesto, sia dimezzato (0.2 rispetto allo 0.4 per cento allora ipotizzato). Entrando nel dettaglio delle misure più rilevanti, le risorse destinate a riduzione del cuneo fiscale sul lavoro sono circa la metà, rispetto alle ipotesi formulate in ottobre, e anche la riduzione di Irpef sarà depotenziata dal previsto aumento della base imponibile. Gli effetti sulle famiglie sono decisamente diluiti, mentre gli interventi strutturali di rilancio della crescita sono rimandati e affidati agli esiti della spending review, la riduzione del debito dovrà essere affidata anche a una decisa accelerazione delle dismissioni patrimoniali.
Sui consumi delle famiglie, la componente più importante del Pil, grava la necessità di risalire dalla fossa in cui li ha precipitati la crisi. Al netto dell’inflazione (a prezzi 2010), tra il 2013 rispetto al 2007 i consumi pro-capite si sono ridotti di 1800 euro, ma a fronte di cadute del reddito disponibile di 2700 euro, della ricchezza finanziaria netta di 8200 euro, della ricchezza reale netta di 12600 euro. Il risparmio si è quindi ridotto di 860 euro.
Crescita economica e rallentamento dell’inflazione consentiranno di recuperare potere d’acquisto, ma l’aumento del reddito disponibile nel triennio di previsione si fermerà a 480 euro pro-capite, la ricchezza finanziaria recupererà 3500 euro, nell’ipotesi di una crescita costante delle quotazioni delle attività finanziarie, mentre quella reale continuerà a erodersi. In questo contesto, la spesa delle famiglie crescerà solo di 200 euro pro-capite. Un triennio di faticoso recupero nel quale il mercato del lavoro debole interagendo con la bassa crescita economica si traduce in un recupero insufficiente di produttività che a sua volta convalida la bassa crescita dei salari e della domanda interna e rende faticoso il percorso di rientro del debito pubblico vincolando le possibilità espansive della politica fiscale, in un circolo vizioso difficile da eludere.
Questi elementi di fragilità rendono il percorso sul quale dovrà muoversi l’economia italiana nei prossimi anni molto scivoloso. La repentina riduzione dello spread certamente risponde a un aumento di fiducia nei confronti della nostra economia ma non solo: poiché sta interessando tutti i paesi periferici potrebbe piuttosto essere considerata espressione di una fiducia nelle possibilità dell’Uem di superare le sue difficoltà e i suoi limiti. Sarà sufficiente questa “fiducia condivisa” a reggere l’urto del manifestarsi di qualche inciampo nel difficile percorso che la nostra economia ha davanti? Questa sorta di luna di miele che i mercati ci stanno concedendo non è detto che durerà per sempre. E’ una finestra stretta, non sappiamo quanto, quella che ci è stata aperta in attesa di capire se l’economia italiana sarà in grado di tornare a crescere in una misura sufficiente a rendere possibile il contemporaneo riassorbimento del debito pubblico e della disoccupazione, configurando quindi un percorso economicamente e socialmente sostenibile nel medio termine, in grado di evitare quella “desertificazione” economica di cui alcuni paventano la possibilità. Se così non fosse, il rischio è che i capitali tornino a dirigersi altrove, ripiombandoci in uno scenario purtroppo già sperimentato.
Il Prodotto Interno Lordo italiano
La ripresa dovrebbe acquisire maggior slancio grazie al rafforzamento della domanda interna, che affiancherebbe quello della domanda estera. Come risultato, la crescita del Pil è attesa portarsi in termini medi annui allo 0.8 per cento nel 2014 per poi accelerare all’1.4 per cento nel 2015 e all’1.6 per cento nel 2016. Alla fine del periodo considerato il Pil sarebbe tuttavia ancora inferiore non solo ai massimi raggiunti prima della crisi finanziaria internazionale, ma anche ai livelli prevalenti prima dell’avvio della recente fase recessiva.
Interessi passivi
Per l’anno in corso non si prevedono ulteriori riduzioni nello spread Btp-Bund che è stimato intorno ai 200pb nei primi tre mesi dell’anno e a 220pb nella media dell’anno. Rispetto ai livelli dello scorso anno, il differenziale stimato per il 2014 è più basso di 50pb ma si coniugherà a rendimenti medi dei Btp allo stesso livello del 2013, dato il rialzo dei tassi internazionali. Rispetto alle previsioni formulate in ottobre, tuttavia, il tasso medio sui Btp è di circa 40pb inferiore e questo si riflette in una previsione più favorevole della spesa per interessi per il comparto a medio lungo termine rispetto alle tendenze estrapolate tre mesi fa. Se si considera sia il rinnovo dei titoli in scadenza nel 2014, 193.4 miliardi di euro per questo comparto, sia il finanziamento del fabbisogno aggiuntivo con nuove emissioni, si può stimare che il risparmio di spesa per interessi ammonti a circa 1 miliardo di euro a regime (ovvero annualizzato), circa la metà nell’anno in corso data la distribuzione mensile delle scadenze (che vede una concentrazione maggiore nei mesi centrali dell’anno, quelli in cui si prevedono livelli di tasso relativamente meno favorevoli, salvo una appropriata gestione delle emissioni in corso d’anno). Un risparmio che si sommerà a quello che deriva dalle emissioni degli ultimi mesi del 2013.
Export
L’anno in corso vedrà l’accelerazione del ritmo di crescita delle esportazioni di merci, guidata dalla domanda potenziale e dal ritorno del tasso di cambio dollaro-euro sotto quota 1.30 nella media del quarto trimestre. Gli indicatori qualitativi più recenti confermano la dinamica espansiva delle vendite estere; in particolare, i giudizi delle imprese migliorano e il PMI delle imprese esportatrici, superiore al valore 50 da luglio, continua a crescere. Le esportazioni di merci a prezzi costanti cresceranno del 2.9 per cento, in linea con la crescita dei mercati di sbocco. Per quanto riguarda le importazioni, dopo essersi ridotte del 10 per cento nel biennio 2012-2013, torneranno a espandersi, grazie al sostegno degli investimenti strumentali e delle scorte, di cui l’anno in corso dovrebbe sancire la fine del processo di decumulo dello stock. Il contributo delle esportazioni nette alla crescita del Pil sarà contabilmente nullo. Tuttavia, l’impulso effettivo alla crescita fornito dalle esportazioni è quantificabile in circa un punto percentuale, se teniamo in considerazione tutti gli effetti moltiplicativi prodotti sulle altre componenti della domanda (in particolare quella per investimenti) e quelli demoltiplicativi sulle importazioni.
Sarà a partire dal 2015, quando la domanda potenziale tornerà a crescere al 6 per cento, che le esportazioni guadagneranno ulteriore terreno, aumentando nel biennio 2015-2016 mediamente del 5.2 per cento. La loro dinamica trarrà forza anche dal deprezzamento dell’euro rispetto alle principali valute. La crescita delle esportazioni e quella della domanda interna daranno impulso alla domanda di importazioni, 5.1 per cento in media.
Occupazione
Nonostante la ripresa di attività economica che stimiamo per il quarto trimestre, sarebbe proseguita la caduta di occupazione. I dati mensili (provvisori) segnalano un arretramento dell’occupazione che, associato a una stabilizzazione dell’offerta di lavoro, ha portato a un ulteriore aumento del tasso di disoccupazione, arrivato al livello record del 12.7 per cento. Una debolezza del mercato del lavoro testimoniata anche dagli indicatori disponibili sul ricorso agli ammortizzatori sociali. Le domande di Cassa integrazione guadagni sono aumentate nei mesi finali dello scorso anno, trainate da quella straordinaria, la componente che si attiva in presenza di crisi dell’azienda e che spesso prelude al ridimensionamento/chiusura della stessa e ai conseguenti licenziamenti. Il diffondersi di tali situazioni è testimoniato anche dalle domande per l’accesso ad ammortizzatori sociali diversi dalla Cig, per i quali la disponibilità di dati si ferma allo scorso ottobre, ma dalle quali è evidente non solo l’aumento delle richieste per mobilità e per sussidi di disoccupazione (nella nuova forma dell’Aspi e mini Aspi e pur tenendo conto del diverso perimetro degli aventi diritto), ma anche una loro accelerazione nel corso del 2013: nel complesso, erano cresciuti nel periodo gennaio-ottobre sul periodo corrispondente del 2.8 per cento nel 2011, del 19.6 per cento nel 2012, del 31.2 nel 2013. I beneficiari a vario titolo di tali trattamenti sono stati, mediamente nei primi sette mesi dello scorso anno, 886 mila.
Prometeia prevede che l’occupazione cresca nel prossimo triennio recuperando 520 mila unità di lavoro standard, 560 mila posizioni lavorative. A fronte del milione e 800 mila unità perse dal 2007, si sarà ancora ben lontani dai livelli pre-crisi. Così come lontana dai livelli pre-crisi sarà la disoccupazione, che scenderà dagli oltre 3 milioni attuali a 2 milioni e 800 mila alla fine del 2016, l’11.2 per cento delle forze di lavoro.
Inflazione e deflazione
La revisione al ribasso delle stime sull’inflazione, di due decimi nel 2013 e di nove nel 2014, è certamente degna di nota e significativa di come l’andamento dei prezzi negli ultimi mesi dello scorso anno abbia rappresentato una sorpresa. L’inflazione al consumo è scesa a dicembre allo 0.7 per cento, meno di un terzo di un anno prima, quando era al 2.3 per cento, in riduzione anche dallo 0.9 registrato a settembre; quella alla produzione era a novembre al –2.3 per cento (+2.3 per cento nel dicembre 2012). Non si tratta di punti di minimo assoluto, i prezzi alla produzione soprattutto ma anche i prezzi al consumo hanno conosciuto in passato tassi di crescita inferiori, ma sono significativi perché si stanno realizzando in assenza di drammatiche cadute dei prezzi internazionali, del petrolio innanzitutto, e in presenza per i prezzi al consumo di aumenti di Iva. Nel 2009, infatti, quando la crescita dei prezzi al consumo si era addirittura annullata e i prezzi alla produzione cadevano del 9 per cento, la componente energetica ne spiegava una parte molto consistente: il petrolio era sceso dai 130$ brl. del 2008 a 45$ e i prezzi dei prodotti energetici scendevano del 25 per cento alla produzione e del 15 per cento al consumo. Anche oggi un contributo alla disinflazione sta provenendo dai prezzi internazionali più volatili ed è accentuato dal rafforzamento dell’euro, ma in una misura molto più contenuta: i prezzi dei prodotti energetici diminuiscono del 7 per cento e del 2.3 per cento rispettivamente alla produzione e al consumo (6 per cento e 9 per cento un anno prima); la veloce discesa dei prezzi dei beni alimentari guida ora verso il basso l’inflazione complessiva, dopo averla sostenuta nel 2012 (3.9 per cento alla produzione e 3.1 per cento al consumo la crescita media).
Ciò implica che esiste il rischio di un avvitamento deflativo, anche nel nostro paese tradizionalmente caratterizzato dal rischio opposto? Ebbene, in dicembre le attese a sei mesi degli operatori sull’inflazione al consumo sono state riviste nettamente al ribasso rispetto alla rilevazione di settembre (allo 0.9 dall’1.5 per cento), in linea con la decelerazione dei prezzi registrata nello scorcio del 2013. Anche le aspettative a uno e due anni si sono ridotte rispetto alla precedente rilevazione, collocandosi rispettivamente all’1.1 e all’1.2 per cento (dall’1.6 e 1.7 per cento). Nonostante tale revisione, non sembra vi siano segni di aspettative di caduta dei prezzi, e dunque i timori di deflazione sono al momento eccessivi nel caso dell’Italia, soprattutto alla luce del miglioramento ciclico in atto. Non ci si può nascondere, tuttavia, che qualora la forza della domanda estera risultasse meno robusta del previsto, il rischio di un avvitamento tra ulteriore caduta della domanda interna e ulteriore rallentamento della crescita dei prezzi non potrebbe essere escluso.