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Prometeia: recessione 2014, ripresa 2015

FIRSTonline

Un anno e mezzo fa e per tutto l’inverno Prometeia aveva individuato i segni, più o meno chiari, della fine della fase recessiva e dell’avvio, cauto, di una ripresa. La pubblicazione dei dati storici ha via via portato a rivedere le previsioni verso il basso, e quella che un anno fa sembrava una lenta ripresa oggi si rivela essere una stagnazione se non addirittura una prosecuzione della recessione: come considerare infatti la sequenza di -0.1/0.0/-0.2 per cento che si susseguono dal terzo trimestre dello scorso anno?

Fattori diversi si stanno sommando a spiegare questo risultato. Innanzitutto numerosi eventi “accidentali”: di trimestre in trimestre ogni componente di domanda presentava un’evoluzione diversa dalle attese. Ad esempio l’andamento degli investimenti in mezzi di trasporto che rappresentano solo il 10 per cento degli investimenti strumentali ma che hanno registrato variazioni a due cifre, l’andamento dell’interscambio di servizi che è alla base di una consistenze revisione al ribasso delle esportazioni, la crescita delle importazioni sostenuta per larga parte dai beni energetici. In una situazione del genere è forse comprensibile che gli indicatori congiunturali coi quali si è usi misurare la fase ciclica, ossia le indagini qualitative sui giudizi di famiglie e imprese, abbiano perso la loro capacità predittiva.

Dunque, una difficoltà a leggere i segnali di ripresa dovuti all’unicità di questa fase ciclica, che viene dopo la peggiore recessione della storia del Paese, che si è sommata via via e in misura maggiore negli ultimi mesi con una condizione oggettiva di rallentamento. Prometeia fa riferimento a come la debolezza del dollaro, che si è protratta più di quanto la diversa impostazione delle politiche monetarie di Fed e Bce potesse lasciar prevedere, ha interagito con il rallentamento della crescita in molte aree emergenti e ha portato a una brusca caduta delle nostre esportazioni in queste aree. Le tensioni geopolitiche fra Russia e Ucraina, l’embargo su alcuni prodotti e gli effetti negativi sull’interscambio tra tali paesi e i paesi europei hanno rappresentato ulteriori freni alla crescita.

Tensioni geopolitiche che si sono accentuate durante i mesi estivi e che si sono sommate a un fisiologico esaurirsi del “capitale politico” del nuovo governo provocando un brusco rovesciamento del clima di fiducia degli operatori, che da un orientamento positivo di un anno fa si è via via appiattito per diventare nuovamente negativo di recente. I dati disponibili per il terzo trimestre fanno prevedere un’altra caduta del Pil, che Prometeia stima al -0.3 per cento, in peggioramento rispetto al primo semestre.

Tre trimestri in caduta, modesta rispetto a quelle sperimentate nel 2012-2013 ma comunque in contrazione, che condizionano i risultati per l’anno in corso, che non potrà non registrare un altro segno negativo (-0.4 per cento). Nel frattempo, l’inflazione è ulteriormente scesa e da agosto è negativa (-0.1 per cento), esperienza del tutto nuova per la nostra economia soprattutto perché non dovuta a una caduta violenta dei prezzi all’importazione, come nel 1959 e nel 2009. I rischi di un avvitamento recessivo non sono trascurabili. A questo punto, il quesito risulta essere sempre lo stesso “quando si avvierà la crescita?”.

Ebbene, con oltre un anno di ritardo rispetto alle prime attese, Prometeia continua a ritenere che il Pil italiano riprenderà a crescere, sia pure in misura contenuta, e che ciò avverrà a partire da questi mesi autunnali. Il fattore fondamentale di svolta è il deprezzamento dell’euro, che da agosto ha perso il 7 percento circa di valore rispetto al dollaro. Fattore però necessario ma non sufficiente se i segnali delle ultime settimane, sia pure ancora molto incerti, di distensione nell’Est Europa non fossero confermati e se l’intonazione espansiva delle politicheeconomiche non si dovesse rafforzare.

Ciò che invece avrà un ruolo davvero determinante nel far ripartire velocemente l’economia sarà la politica fiscale non solo a livello europeo ma soprattutto a livello nazionale. A livello di area euro una politica espansiva della spesa pubblica, se attuata congiuntamente da tutti ipaesi, potrebbe avere effetti moltiplicativi significativi e non gravare sul debito in rapporto al Pil. In Italia a metà anno lo sgravio per i redditi inferiori ai 26 mila euro (gli 80 euro) è stato un primo passo che ha contribuito a sostenere l’uscita, sia pure molto lenta, dalla recessione della spesa delle famiglie: i consumi sono l’unica componente della domanda interna in crescita da tre trimestri, dopo una sequenza di 11 consecutivi in contrazione. L’analisi che fa da sfondo alla Nota di aggiornamento del Def, da poco presentata dal governo, mostra di condividere tale necessità e posticipa il conseguimento del pareggio di bilancio al 2017.

In estrema sintesi, quindi, Prometeia si aspetta che nei prossimi anni la situazione sarà migliore rispetto a quella che abbiamo alle spalle. Prevediamo che il Pil tornerà in crescita nel 2015 (+0,5%) e marginalmente più dell’ 1 per cento nei due anni successivi, così come occupazione, consumi ed esportazioni, contando sul traino della domanda mondiale. La propensione al risparmio, che ha recuperato i livelli prevalenti nel periodo precedente la crisi del debito sovrano, è prevista continuare ad aumentare sia pur con molta gradualità, nonostante la diminuzione dei tassi di interesse e il loro livello storicamente contenuto e nonostante il sia pur lento miglioramento del mercato del lavoro. Ciò potrebbe in parte riflettere il venir meno dell’esigenza di sostenere i consumi, dato il più favorevole andamento del potere d’acquisto, come anche il tentativo di ricostituire i livelli di ricchezza, dopo le perdite subite durante la crisi. Al riguardo, la ricchezza finanziaria netta delle famiglie grazie all’andamento dei mercati finanziari e all’aumento del risparmio continuerebbe a crescere, anche in termini reali. Non sembra invece ancora esaurito il calo della componente reale per l’ulteriore ridimensionamento previsto per le quotazioni degli immobili. Tale fase potrebbe arrestarsi dal 2016 contribuendo a un marginale recupero della ricchezza complessiva delle famiglie. Alla fine del periodo considerato essa risulterebbe quindi ancora assai distante dai massimi pre-crisi.

Le esportazioni e le importazioni Nel 2014 si registrerà una crescita delle esportazioni di merci a prezzi costanti (nell’accezione di contabilità nazionale), del 2.1 per cento, che sottende una flessione congiunturale nel terzo trimestre e una modesta ripresa a fine anno trainata dal deprezzamento dell’euro e dal rafforzamento del ciclo mondiale. Tenendo conto, di tutti gli effetti diretti e indiretti sulle diverse voci della domanda aggregata, Prometeia valuta che l’incremento delle esportazioni fornisca un contributo alla crescita del Pil dello 0.5 per cento. Le esportazioni tenderanno a recuperare i livelli del 2008, con una dinamica inferiore non solo a quella delle esportazioni tedesche, ma anche di quelle spagnole che, grazie alla rapida crescita, hanno contrastato la recessione interna, generando benefici effetti moltiplicativi sulla domanda di beni di investimento. Un risultato che non è dipeso da un peggiore posizionamento geografico delle esportazioni italiane, ma da un mix tra specializzazione produttiva e competitività di prezzo.

Il triennio 2015-2107 sarà contrassegnato da un aumento delle esportazioni più sostenuta rispetto a quella delle importazioni, 3.6 per cento a fronte di 3.1. Questo dipenderà in buona parte dalla debolezza dell’euro. Il 2015 inoltre vedrà il risveglio della domanda interna italiana e soprattutto, sul finire dell’anno, quella in investimenti strumentali. La reattività delle importazioni alla domanda complessiva sarà elevata e in linea con le fasi di ripresa del ciclo. Dal 2016 la crescita delle importazioni si porterà, quindi, su valori superiori al 4 per cento. Le esportazioni, favorite dall’espansione dei mercati di sbocco e dal permanere di un tasso di cambio dell’euro debole, aumenteranno del 3.8 per cento.

La ripresa dell’occupazione nel 2015-2017 rimarrà modesta, perché modesti saranno i ritmi di crescita del prodotto. Anche se la reattività della domanda di lavoro alla crescita economica tornerà quella prevalente prima della crisi, la profondità delle perdite subite farà sembrare una goccia nel mare il recupero previsto. Nonostante l’aumento di 440 mila occupati di qui al termine dell’orizzonte di previsione (570 in termini di unità di lavoro), alla fine del 2017 l’occupazione sarà ancora inferiore ai livelli del 2011 di 420 mila unità, a quelli pre crisi del 2007 di 1 milione e 420 mila unità. L’inflazione rimarrà per tutto l’orizzonte di previsione 2015-2017 inferiore al 2 per cento, fatto che mai si era verificato nella storia del nostro paese se non negli anni ’30.

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