E’ stato presentato oggi a Milano il nuovo rapporto di Prometeia e UniCredit ”Industria e Filiere2012”, focalizzato sulla competitività delle imprese sui mercati internazionali analizzata in una ottica di filiera globale, che ha l’obiettivo di migliorare il punto d’osservazione sull’industria italiana.
Il Rapporto, che sviluppa un’analisi della competitività delle principali filiere produttive italiane esaminandone i punti di forza e debolezza, propone, attraverso l’analisi di filiera, un contributo nuovo al dibattito sul futuro delle imprese e sulla sfida dell’internazionalizzazione.Vengono elaborati scenari previsivi per singole filiere e fasi di filiere per il biennio 2013-2014 e fornite stime per l’anno in corso.
L’idea di seguire un’ottica filiera per esaminare le dinamiche del sistema produttivo nasce dalla considerazione che il tessuto industriale italiano si è sviluppato nei decenni passati all’insegna del piccolo è bello, mentre oggi è prevalente la visione che per essere competitivi sui mercati internazionali bisogna crescere e l’approccio di filiera può costituire un modello vincente di aggregazione tra imprese. Leggere le performance industriali con un’ottica di filiera integrata aiuta inoltre a fare luce sui legami tra le varie fasi della filiera, evidenziando i punti di forza su cui fare leva affinchè il risultato complessivo di filiera possa divenire maggiormente competitivo nel tempo.
La crisi lascia in eredita’ al nostro Paese 5 punti di differenziale nelle variazioni tra la domanda estera potenziale rivolta all’Italia e la domanda interna: se nell’ultimo biennio il divario fra la domanda mondiale rivolta al nostro Paese e quella domestica è stato di almeno 8 punti percentuali,nei prossimidue anni una nostra impresa che rivolga all’estero la propria offerta avrà un premio in termini di domanda compreso tra 4-5 punti percentuali rispetto ad una sua omologa concentrata solo sul mercato domestico. Di fronte a consumi e redditi delle famiglie che nel 2014 saranno sui livelli procapite rispettivamente del 1998 e del 1986 (gli investimenti in costruzione sono fermi sui livelli del 1980), le esportazioni saranno l’unica componente del Pil ad aver recuperato i livelli di prima della crisi. I mercati su cui le imprese investiranno (interno o esterno) condizioneranno il futuro di tutte le filiere.
Maggiori esportazioni, pertanto, saranno un percorso obbligato in un sistema produttivo ancora segnato dall’eredità della crisi, stimato chiudere il 2012 con un fatturato a prezzi correnti ancora inferiore di 40 miliardi di euro a quello del 2008 e per questo alla ricerca di un rilancio. Una vocazione ai mercati esteri simile a quella delle imprese tedesche garantirebbe per esempio di anticipare di almeno due anni il pieno recupero nei livelli di produzione industriale pre-crisi.
L’internazionalizzazione è tuttavia un obiettivo complesso soprattutto per le imprese più piccole e meno strutturate. In assenza di una visione condivisa il rischio è che la doppia, tripla velocità che caratterizza il ciclo internazionale si rifletta oggi anche nel mondo produttivo: pochi campioni in grado di tenere il passo di una domanda lontana e molti lasciati indietro perché non sufficientemente equipaggiati davanti alle trasformazioni nel quadro di produzione e consumi globali.
Come possibile strada alternativa da percorrere, il Rapporto propone l’approccio di filiera, vera e propriachiave strategica per un modello come quello italiano, fatto storicamente di territori, collaborazione e imprenditoria diffusa, oggi chiamato a reinventarsi verso mercati e processi sempre più lunghi, competitivi e globali. L’aggregarsi in alleanze produttive dovrebbe diventare parte della nostra cultura per combattere il nanismo imprenditoriale e l’individualismo.
La competitività di sistema (quello pubblico e quello delle imprese) viene descritta come variabile chiave dello scenario e declinanata in un indice sintetico per 13 filiere e 5 fasi. Le filiere che compongono l’indice sono Alimentare e bevande; Automotive; Carta/stampa/editoria; Chimica; Prodotti per costruzioni; Elettronica e strumenti di precisione; Componentistica meccanica; Elettrodomestici; Elettrotecnica; Macchine e impianti; Legno-arredo; Metalli; Moda. Le fasi che compongono l’indice sono:sourcing; prime lavorazioni; lavorazioni intermedie; produzioni finali; distribuzione.
Macchine e impianti, elettrotecnica, componentistica meccanica sono quelle filiere dove l’indice di competitività (che tiene conto dei posizionamenti relativi in ogni fase delle diverse filiere dal punto di vista della quota sui mercati esteri, della sostenibilità dei debiti, della produttività) raggiunge il suo massimo. Il risultato è frutto di un posizionamento omogeneo delle diverse fasi e proprio su questa compattezza è possibile individuare il punto di forza dell’offerta italiana. Quello che negli anni del boom economico era stato definito un granaio meccanico è maturato in un vero e proprio sistema di eccellenza. Oggi l’Italia è in queste filiere collocata ai vertici competitivi di tutte le fasi produttive con imprese che appaiono legate fra loro da collaborazioni virtuose, ma più in generale dal fil rouge della competitività.
Diverso il quadro di altre produzioni dove il bilancio competitivo di filiera è comunque buono, ma fortemente sbilanciato fra le diverse fasi. Nella moda per esempio il maggiore contributo al buon posizionamento dell’indice complessivo dipende soprattutto dalle lavorazioni finali. Il riflesso del lungo processo di trasformazione che ha interessato gli equilibri produttivi globali della filiera è stato infatti il progressivo impoverimento degli stadi più a monte. E’ un bilancio che può essere esteso ad altre produzioni tipiche del made in Italy come quelle dell’alimentare, ma anche a chimica e metalli, oltre che alle lavorazioni intermedie degli elettrodomestici.
Nel caso di automotive, elettronica, elettrotecnica l’inserimento in catene globali può offrire alla cosiddetta subfornitura margini di crescita migliori della media generale, che nel complesso vede per 8 filiere industriali su 13 una crescita media annua del fatturato sotto l’1% per il biennio 2013-‘14. La forza dei marchi nei prodotti finali di moda, alimentare, arredo può garantire un potenziale di crescita su mercati promettenti come Cina, Turchia e altri emergenti ancora non sufficientemente presidiati. Un contributo alla competitività della filiera potrà in questi casi arrivare anche dalle fasi più a monte, che oggi pagano soprattutto l’eccessiva fragilità finanziaria.
La redditività al 2014 appare minore per le fasi agli estremi delle diverse filiere, quella del sourcing e quella della distribuzione che è anche l’unica a presentare anche una previsione di crescita negativa del fatturato nel prossimo biennio. Nel caso degliapprovvigionatori le imprese pagano l’assenza di risorse naturali del Paese, ma anche un ciclo di pagamenti che in Italia penalizza soprattutto le imprese più a monte delle catene produttive. La distribuzione dovrà invece scontare uno scenario negativo dei consumi, una bassa vocazione internazionale e un sistema d’offerta altamente frammentato.
Le strade per la competitività nelle filiere italiane rimangono diverse e articolate: bilanciamento dei tempi di pagamento da valle a monte, miglioramento della produttività e innovazione nelle fasi industriali, accrescimento della presenza estera nella distribuzione. Le imprese non potranno giocare da sole la partita che hanno di fronte. Il sistema paese può oggi intervenire, offrendo alle singole filiere una visione del futuro che sarà anche una visione di sé e della sua ambizione industriale a medio termine.Deve inoltre farsi strada l’idea del “fare sistema” tra piccole e medie imprese complementari, aggregarsi in alleanze produttive per combattere il nanismo imprenditoriale.
Il problema della crescita dimensionale può avere due tipi di soluzione: la classica fusione tra imprese, che rimane la via maestra per raggiungere livelli di produttività ed efficienza più elevati e quella del “mettersi insieme” per collaborare in una ottica di filiera, ovvero creando reti tra imprese con rapporti stretti di partnership con i propri fornitori e clienti, con una base di collaborazioni più ampia geograficamente e più eterogenea in termini di compiti rispetto ai cluster produttivi di natura prevalentemente locale.