L’industria italiana, fortemente penalizzata dal calo della domanda interna, ha subito nel 2012 una caduta del fatturato stimata attorno al 6% a prezzi costanti. Il lungo quinquennio della crisi ha avuto impatti molto negativi soprattutto sui consumi di beni legati alla mobilità e all’abitazione, maggiormente sensibili all’erosione del reddito disponibile delle famiglie italiane e all’incertezza legata alle prospettive occupazionali. La contrazione dei consumi si è trasmessa a ritroso lungo le filiere, colpendo i settori più a monte in misura proporzionale al calo dei consumi finali. Ha pesato, inoltre, l’ulteriore contrazione degli investimenti in costruzioni che nell’ultimo quinquennio hanno evidenziato una flessione cumulata nell’ordine del 23%. Gli effetti diretti legati al ciclo delle costruzioni sono stati particolarmente penalizzanti per settori quali i materiali per costruzione (che hanno sperimentato un apporto negativo ai livelli produttivi superiore al 20%), la ceramica, la siderurgia e i prodotti in legno (con contributi tra il -10% e il -5%).
Il calo della domanda interna ha indotto le imprese italiane a puntare sempre di più sull’export. Le esportazioni hanno evidenziato la costante capacità delle imprese italiane di cogliere le opportunità presenti sui mercati internazionali. Con l’eccezione di Alimentare e bevande, Farmaceutica e Metallurgia, le difficoltà dei mercati dell’Europa Occidentale hanno spinto i produttori italiani a diversificare i propri sforzi. Nafta e bacini del Mediterraneo e del Golfo – dove pur tra mille incertezze di natura politica alla primavera sociale sta facendo seguito, in alcuni paesi, una primavera economica – sono le aree che hanno consentito alla maggioranza degli esportatori italiani di mitigare la debolezza del mercato interno ed europeo. La Metallurgia e la filiera dell’automotive sono i settori che hanno maggiormente accresciuto le vendite in Nord America, mentre dai paesi più vicini hanno potuto trarre benefiche boccate d’ossigeno anche Prodotti e materiali per le costruzioni, Mobili ed Elettrodomestici.
Una crescita diffusa a tutti i maggiori mercati mondiali ha caratterizzato invece l’Alimentare e bevande, settore che più di altri negli ultimi anni sta spingendo sull’acceleratore dell’internazionalizzazione pur tra numerosi vincoli normativi, culturali e di deperibilità dei prodotti. Il pieno inserimento nel network delle multinazionali di settore ha invece continuato a trainare le vendite all’estero di Farmaceutica.
In Asia e America Latina, ancora una volta tra le aree mondiali più dinamiche, i buoni risultati di vendita, più evidenti nel caso dei settori produttori di beni di consumo, non contribuiscono in modo rilevante alla crescita dell’export complessivo italiano, a causa di volumi ancora troppo bassi.
Diffusione, dimensione e distribuzione: le tre “d” che frenano l’export italiano
L’Italia non riesce a tradurre pienamente il suo potenziale manifatturiero in concrete opportunità di crescita dei livelli produttivi e occupazionali. Questo a causa di una percentuale di imprese nazionali esportatrici più bassa rispetto ai concorrenti europei (Tab. 2), soprattutto sui mercati più vicini e nei settori non manifatturieri, un valore medio dell’export aziendale altrettanto ridotto e un contributo insufficiente da parte del comparto della distribuzione (e degli altri servizi). Questi tre fattori limitano la possibilità di un maggior radicamento e penetrazione nei mercati esteri, necessari per cogliere tutte le opportunità della domanda mondiale, e di una più efficace diversificazione degli sbocchi geografici, per ridurre i rischi legati ai cicli negativi dei mercati tradizionali.
Alla difficoltà nel creare campioni nazionali dell’industria e della distribuzione, si contrappone la concreta possibilità, già nel breve termine, di favorire una più ampia e stabile partecipazione delle PMI italiane ai mercati esteri, soprattutto quelli più vicini geograficamente. Un ruolo importante potrebbe essere giocato dal potenziamento delle trading companies, capaci di aggregare la variegata offerta, spesso di qualità, delle piccole imprese e di veicolarla all’estero con strutture distributive e logistiche adeguate alla competizione internazionale.
Per le medie imprese italiane più strutturate, inoltre, uno strumento di maggiore radicamento internazionale è rappresentato dagli Investimenti Diretti Esteri, che consentono una prossimità ai mercati esteri non solo geografica ma soprattutto conoscitiva. Particolarmente significativo il caso della Meccanica, settore che negli ultimi anni ha rappresentato una delle frecce vincenti all’arco dell’industria italiana, che nonostante la concorrenza diretta delle più strutturate imprese tedesche ha in comune proprio con queste la quota di fatturato realizzata dalle controllate estere (Fig. 1), sempre più necessarie anche per offrire adeguati servizi post vendita.
Il peggio è alle spalle?
Dopo la forte caduta tra il 2008 e il 2012, anche nell’anno appena iniziato difficilmente la domanda interna potrà interrompere il suo declino, rendendo ancora più fragili gli equilibri economico-finanziari del tessuto manifatturiero. Con il nuovo calo del 2012, infatti, i livelli produttivi sono tornati sui minimi del 2009, lasciando alcuni settori, come i produttori di beni durevoli e quelli più legati al ciclo delle costruzioni, con un forte eccesso di capacità produttiva (Fig. 2) e la necessità di una probabile ristrutturazione del tessuto delle imprese.
L’eccezionalità delle flessioni registrate in alcuni comparti sta facendo, tuttavia, maturare la convinzione presso molti operatori che si sia prossimi a raggiungere i livelli di minimo. In questa ottica possono essere interpretati alcuni segnali di miglioramento nelle attese delle imprese su ordini e produzione (Fig. 3), come quelli di Mobili, Elettrodomestici, Auto e moto e Prodotti e Materiali da Costruzione. Gli spunti positivi nel Sistema moda e negli Intermedi chimici, inoltre, potrebbero indicare una maggior fiducia delle aziende per quanto riguarda il canale estero e, soprattutto, la possibilità di beneficiarne concretamente, per interrompere il circolo vizioso sul mercato domestico alimentato dall’erosione di redditi-consumi-produzione.