Adagio, ma avanti. L’economia italiana ha smesso di affondare, ma la risalita è lenta e ostacolata dal peso del debito pubblico (che sia di famiglie, imprese banche o settore pubblico) e dalla necessità di ricapitalizzazione del sistema bancario. Da tre trimestri la crescita del Pil oscilla attorno allo zero, in una alternanza di +/- 0.1% che mediano tra settori già in netto recupero e altri ancora in recessione, con una diffusione settoriale della ripresa che stenta ad allargarsi. Prometeia prevede che anche nei prossimi tre anni, le pre condizioni per il rientro del peso del debito pubblico su Pil si manterranno difficili, a prescindere dalle politiche di bilancio.
La crescita del Pil nominale, circa il 2.6 per cento medio annuo tra il 2014 e il 2017, decisamente inferiore al rendimento nominale dei titoli di stato a lungo termine (il 3.8 per cento se guardiamo al costo medio del debito pubblico date le ipotesi di riduzione dello spread contenute nella previsione), implicherà un avanzo primario di bilancio di almeno 1.2 per cento del Pil per evitare che il rapporto debito pubblico/Pil aumenti, maggiore dell’1.2 se si vuole che tale rapporto si riduca. Prometeia prevede che l’incremento del Pil si fermerà quest’anno allo 0.3%, salendo poi a 1.2% nel 2015 non solo per l’effetto dei dati storici peggiori delle attese, ma anche per la forza del ciclo internazionale il cui abbrivio è inferiore alle attese e la forza dell’euro che persiste nonostante l’ulteriore allentamento della politica monetaria.
In questo contesto, le decisioni adottate dal consiglio direttivo della Bce lo scorso 5 giugno possono rappresentare un deciso passo in avanti a sostegno della ripresa. Esse prevedono, dal prossimo settembre al settembre del 2016, l’erogazione di liquidità alle banche in una misura pari a tre volte la quantità dei prestiti effettuati. Liquidità che dovrebbe permettere alle banche italiane non solo di riavviare, già nel corso dell’ultimo trimestre di quest’anno, il canale del credito all’economia riducendo il costo del funding, ma anche di conservare o addirittura ampliare il proprio portafoglio di titoli del debito pubblico italiano, consentendo una gestione più agevole dello stesso e convalidando una discesa degli spread sui titoli tedeschi. Più offerta di credito bancario a tassi inferiori, spread sovrano più basso e dunque un premio per il rischio paese che si abbassa per tutti gli emittenti italiani e di cui si avvantaggerebbero anche le imprese.
Con l’ausilio del 2 modello trimestrale per l’economia italiana, Prometeia stima che gli effetti positivi si manifesteranno soprattutto sugli investimenti strumentali e soprattutto nel corso del 2015, effetti quantificabili, in estrema sintesi, in circa due decimi di Pil. La bassa inflazione che sta caratterizzando questa fase di lento avvio della ripresa, non aiuta. Se, nonostante tutto, la graduale ripresa del commercio estero continuerà a essere uno dei driver della ripresa, va ricordato che i grandi progressi compiuti dalle nostre imprese sui mercati esteri non hanno colmato i gap nella capacità di intercettare la domanda estera. La nostra competitività di prezzo non ha recuperato le ingenti perdite cumulate negli anni 2000 e farlo quando l’inflazione sfiora lo zero ed è molto bassa ovunque in Europa diventa quasi impossibile, se non rischiando la deflazione anche se negli ultimi mesi sembra si sia fermata l’aspettativa di una riduzione generalizzata dei prezzi.
In sintesi, una ripresa che si è timidamente avviata ma che ha bisogno di sostegno per consolidarsi, sostegno che la politica monetaria si è attrezzata per fornire, cosa che la politica fiscale dovrà cercare di fare sfruttando al massimo tutti gli spazi e gli strumenti possibili. Un sostegno che deve mirare a promuovere le sole componenti della domanda sulle quali possiamo fare leva e che identificano un modello di sviluppo totalmente differente da quello, per molti versi insoddisfacente, che ha caratterizzato gli anni pre-crisi: meno investimenti in costruzioni e consumi pubblici, più sostegno ai consumi delle famiglie, agli investimenti in beni strumentali (e a elevato contenuto tecnologico), alle esportazioni.
L’occupazione. Segnali, incerti, di assestamento nel mercato del lavoro? Anche il mercato del lavoro condivide l’incertezza che caratterizza questa fase ciclica, in cui segnali positivi e negativi si intrecciano a delineare una situazione difficile da interpretare. Nel primo trimestre l’occupazione è risultata ancora in caduta rispetto all’anno precedente del -1.2 per cento in termini di unità standard, del -1 per cento in termini di posizioni lavorative. Il contestuale aumento dell’offerta di lavoro (+0.2 per cento rispetto al precedente) ha portato il tasso di disoccupazione al 12.7 per cento. Le prime informazioni provvisorie sui mesi primaverili non sciolgono l’incertezza: dopo una caduta dell’occupazione dello 0.4 per cento in aprile vi è stato un aumento (0.2 per cento) in maggio; il tasso di disoccupazione è prima sceso al 12.5 per cento per poi tornare al 12.6 per cento. Benché i dati della rilevazione mensile sulle forze di lavoro siano molto volatili e soggetti ad ampie revisioni, queste oscillazioni segnalano comunque l’assenza di una direzione precisa nell’andamento dell’occupazione.
Incertezza che emerge anche dai dati sul ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni, in crescita nei primi mesi dell’anno nelle componenti straordinarie e in deroga, in riduzione nella gestione ordinaria. Dati che possono essere letti come espressione di una fase di assestamento ciclico che riduce la richiesta di nuovi interventi ma che non frena il processo di chiusura e ridimensionamento delle imprese, “coda avvelenata” della crisi. Comunque, ripresa lenta nel corso del 2014. La lentezza con la quale si sta avviando questo ciclo di ripresa dopo la Grande Recessione consentirà al più di arrestare la caduta di occupazione a partire dal secondo semestre dell’anno, ma non permetterà un riassorbimento della disoccupazione a breve termine. Anzi, il contestuale aumento della partecipazione che sempre accompagna le fasi di riavvio ciclico, poiché coloro che, scoraggiati, si erano ritirati dal mercato del lavoro vi si riaffacciano, potrà portare a un ulteriore au3 mento del tasso di disoccupazione, che arriverebbe a sfiorare il 13 per cento, un record storico.
Gli interventi normativi potrebbero favorire una maggiore reattività ciclica dell’occupazione… In questo momento di ripartenza, le imprese saranno favorite dalle misure legislative varate di recente (Dl Lavoro n.34/2014) che, consentendo un uso più flessibile dei contratti a termine e dell’apprendistato, potrebbero aumentare la reattività ciclica dell’occupazione nei prossimi mesi, contribuendo a mitigare gli effetti negativi dell’incertezza che sta caratterizzando questa fase di svolta e che rende le imprese molto caute nelle assunzioni.
Non è invece ancora chiaro come evolverà la discussione sul disegno di legge delega che dovrebbe attuare concretamente il cosiddetto Jobs Act, un progetto ambizioso di ridisegno degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, di riordino dei rapporti di lavoro e delle misure di sostegno alla maternità e alla conciliazione. In ogni caso a fronte dei quasi 2 milioni di unità di lavoro (1 milioni di posizioni lavorative) perse dal 2007, nei prossimi tre anni se ne potranno recuperare assai meno della metà, così che la disoccupazione scenderà dagli oltre 3 milioni e 200 attuali a 2 milioni e 900 mila alla fine del 2017, l’11.4 per cento delle forze di lavoro. Praticamente solo il settore dei servizi privati sarà in grado di aumentare l’occupazione l’unico che al termine dell’orizzonte di previsione avrà più occupati rispetto al 2007. Per tutti gli altri settori il bilancio sarà negativo, particolarmente pesante per il settore industriale, che avrà perso circa 800 mila unità di lavoro, ma anche per le costruzioni (-400 mila) e le Ap (-300 mila) le perdite saranno ancora ingenti.
Interessi passivi. Nelle stime di Prometeia, nel 2014 la spesa per interessi passivi si ridurrà ancora anche nei livelli assoluti e resterà sostanzialmente costante nel 2015, coerente con una riduzione del costo medio del debito dal 4.1 per cento del 2013 al 3.8 per cento nel 2015. In termini di Pil la spesa per interessi scenderebbe negli stessi anni dal 5.3 al 5.1 per cento.