Un elefante si muove pericolosamente, ormai da qualche anno, all’interno della cristalleria economica italiana. Si chiama produttività (del lavoro) e si ottiene misurando la quantità di beni o servizi prodotta per ora di lavoro. Un recentissimo studio pubblicato dalla Banca Italia, prodotto dall’economista Rosalia Greco, ha messo in rassegna alcuni punti chiave relativi alle questioni strutturali della produttività in Italia.
L’Italia non ha sempre avuto problemi di produttività, in passato nelle sue fasi di espansione economica aveva raggiunto livelli molto alti, quasi il 300% nel periodo tra il 1951 e il 1992. Tuttavia, con il giro di boa avvenuto nei primi anni Novanta, produttività e redditi di pari passo hanno iniziato sostanzialmente ad arenarsi. Anche in ottica comparata, ha messo in evidenza il lavoro degli economisti di via Nazionale, dal 2000 la crescita della produzione italiana è rimasta indietro rispetto alle altre grandi economie industriali dell’Eurozona, come Germania, Francia e Spagna, principalmente a causa della debole dinamica della produttività del lavoro.
Produttività italiana: tra eccezioni settoriali e frammentazione economica
Non tutti i settori dell’economia italiana presentano le stesse criticità, si contano anche eccezioni di rilievo nel nostro panorama nazionale. Il settore industriale generalmente presenta indici di produttività migliori rispetto al resto dell’economia nel suo complesso. Lo studio della Banca d’Italia rileva che soprattutto nel periodo 2014-2019 i settori manifatturieri più esposti al commercio internazionale hanno registrato una crescita della produttività più elevata. La manifattura export-oriented, obbligata al confronto nel mare largo della competitività globale, si è dunque difesa bene. In sostanza, l’evidenza empirica ha dimostrato che la crescita della produttività aumenta più energicamente nei comparti a maggiore grado di intensità degli scambi commerciali con l’estero.
Nei settori della chimica e della farmaceutica, l’industria italiana per esempio ha fatto meglio di Germania e Spagna. Resta il fatto che, al netto di alcuni comparti molto performanti, la produttività generale dell’economia italiana si presenta molto frammentata, così come segnalano anche gli ultimi numeri raccolti dall’Istat. In Italia nel 2022 sono aumentate solo la produttività del capitale (+2,7%) e la produttività totale dei fattori (+0,4%), mentre risulta ancora in calo quella del lavoro, diminuita dello 0,7% (tra il 2014 e il 2022 era aumentata in media dello 0,5%). Una discesa legata all’effetto di un aumento delle ore lavorate maggiore dell’incremento del valore aggiunto.
Il paradosso produttivo italiano e l’invito all’innovazione strategica
Va sottolineato inoltre che nel periodo 2000-2022 la produzione reale è cresciuta in media dello 0,3% all’anno in Italia, contro l’1,2-1,3% di Germania, Francia, Spagna e dell’Eurozona. In totale, nel ventennio la produzione reale italiana è cresciuta quasi quattro volte meno rispetto alle principali potenze manifatturiere europee.
Tornando in conclusione allo studio della Banca d’Italia, quale dovrebbe essere l’escamotage utile per far uscire l’elefante dalla cristalleria? Gli investimenti, leva determinante per dare una scossa alla produttività del lavoro. Le tendenze d’investimento in Europa, rileva sempre il paper della Banca d’Italia, sono state diverse a seconda dei Paesi e dei settori di attività. Per esempio, i beni immateriali hanno costituito una quota maggiore degli investimenti nel settore industriale e sono stati più significativi in Francia.
In un momento storico contrassegnato da alta inflazione, la produttività è inoltre il principale punto di collegamento che unisce le possibilità di un sistema economico di potersi permettere aumenti contrattuali di salari e stipendi rilevanti. I dati dell’Ocse mostrano invece impietosamente come l’Italia, proprio negli ultimi vent’anni, si sia collocata negli ultimi gradini nell’Eurozona per quanto riguarda la crescita dei salari medi reali. Purtroppo, anche nel dibattito politico attuale, le misure per attivare processi strutturali della produttività del lavoro sono relegate ai margini dell’agenda economica.