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Prodi: “Non torno in politica ma non Parmalattizziamo l’Italia: lo Stato deve difendere le imprese”

Imagoeconomica

“No, non torno in politica. Chi mi vuole? Non sono andato via di mia volontà, ma quando uno prende la sfiducia del Parlamento deve capire la lezione e andare a casa”. A Trieste, al convegno annuale della rivista “L’industria”, che fondò 35 anni fa prima di diventare presidente dell’Iri e poi leader politico e di governo, un Prodi in gran forma giura che la sua stagione politica è chiusa (anche se gli incarichi internazionali o istituzionali possono sempre sbucare a sorpresa) ma, come era facile attendersi, il discorso che fa agli economisti industriali è molto politico. A partire dalla battuta conclusiva, presa a prestito dalla colta relazione di Piero Giarda: “Niente può sostituire la saggezza dell’azione di governo di ogni giorno”.

Prodi non dice a chi si rivolge ma è del tutto chiaro. “Non siamo in recessione, ma siamo gli ultimi della classe in Europa” spiega. E aggiunge: “Possiamo ancora farcela ad uscire dalla crisi, ma bisogna lavorare sull’esistente”. Come? Prodi, non dimenticandosi di parlare a un consesso di autorevoli economisti, si è prima di tutto preso una rivincita culturale sull’iperliberismo anglosassone che è alla base della crisi attuale e che, tuttavia, continua a pontificare.

“Manufacture matters” dice sorridendo per sottolineare come l’industria resti centrale nelle economie moderne e come la tanto vituperata politica industriale debba essere recuperata come stanno facendo, sia pure con colpevole ritardo, perfino gli inglesi, per non dire degli americani. “Io – ha sostenuto Prodi – non mi pento affatto delle privatizzazioni che ho fatto perchè era giusto risvegliare il mercato”, ma lo Stato non doveva ritirarsi sotto la tenda ma “vigilare e regolare”. Non è stato così e se oggi la Telecom non è più il grande gruppo che era, questo non ha nulla a che fare con le privatizzazioni ma riguarda le gestioni che ne sono seguite.

Il mercato va bene, ma ci vogliono simmetrie tra Stato e mercato e tra Paesi e Paesi. “Non si può Parmalattizzare l’Italia” e regalare agli stranieri le più belle delle nostre aziende, ha rincarato la dose l’ex premier che ha aggiunto: “Non si può Parmalattizzare l’Italia ma attenzione che, con la Borsa ai minimi, non ci scappi via anche qualche nostra banca. Non abbiamo più grandi imprese e certamente si può vivere anche senza, ma senza grandi imprese e la ricerca e l’innovazione che promuovono è difficile essere un Paese modeno”.

Secondo Prodi, tutto quello che è successo, dalla crisi globale in poi, non è casuale “ma è figlio di una precisa dottrina, del tatcherismo e del liberismo senza regole” che pensavano che bastasse lasciar fare al mercato per risolvere ogni problema. Sfortunatamente non è andata così, ma sarebbe ora che anche i politici e gli accademici di scuola liberista facessero qualche autocritica e ne prendessero atto.

Prodi ha preso spunto dal caso del Nord-Est, che è il tema del convegno della rivista “L’industria”, per offrire al dibattito l’indicazione delle sue priorità per il rilancio dell’economia e dell’industria italiana: 1) la crescita delle dimensioni d’impresa, perchè “con piccole aziende non si fa internazionalizzazione e non si vive nella globalizzazione”; 2) un massiccio impegno per la scuola, la formazione, la ricerca e l’innovazione; 3) il rinnovamento del capitalismo familiare e la sua apertura al mercato e alle aggregazioni di rete; 4) la ricerca di nuovi equilibri tra Stato e mercato e tra Paese e Paese.

Per ora Prodi non tornerà alla politica, ma forse anche la politica dovrebbe far tesoro di questi suggerimenti.

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