Il Pd ha scelto Romano Prodi. Il Professore ha appreso della sua candidatura in Mali, dove era volato in qualità di inviato speciale del segretario generale dell’Onu per il Sahel. La scelta dell’ex premier, che per il terzo decennio consecutivo rientra in pista come il salvatore della traballante patria della sinistra italiana, sembra aver ricompattato il Partito democratico. Basti pensare alle differenze rispetto alla riunione infuocata dalla quale era uscita la candidatura di Franco Marini.
Una compattezza ritrovata che, se da un lato lascia ben sperare per la corsa di Prodi al Quirinale, dall’altro segna la rumorosa bocciatura della linea intrapresa dal segretario Bersani, il vero, grande sconfitto della giornata di ieri. Bersani, dando prova di notevole miopia, ha deciso di scegliere Franco Marini (che era già stato bruciato da Matteo Renzi nei giorni precedenti) di comune accordo con Silvio Berlusconi, mettendo con le spalle al muro il suo stesso partito, e spingendolo a votare un candidato che non convinceva nessuno.
Fallita la linea Bersani, fallisce fragorosamente anche il progetto di larghe intese con il centrodestra. La scelta di Prodi, infatti, è una scelta che incontra la ferma opposizione di Berlusconi, che nei giorni scorsi aveva paventato una fuga dall’Italia nel caso di salita al Colle del Professore fosse salito al Quirinale, e che avvicina la prospettiva di un ritorno alle urne che, per il Pd, potrebbe rivelarsi un bagno di sangue.
Nato nel 1939 a Scandiano (Reggio Emilia), Prodi, insigne economista, appartiene alla corrente politica del cristianesimo sociale. Dopo una sfolgorante carriera universitaria, l’ingresso in politica avviene alla soglia dei 40 anni, nel 1978, quando Giulio Andreotti lo nomina ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato. Prodi, però, non diviene un militante della Democrazia cristiana e il suo risulta essere un ministero tecnico. Al termin di questa esperienza, nel 1982, Ciriaco De Mita lo pone a capo dell’Iri, carica che riveste fino all’agosto del 1994, quando annuncia le sue dimissioni e l’ingresso in politica.
Un ingresso baciato immediatamente dal successo: il suo movimento, l’Ulivo, riesce a raccogliere in sè le forze di sinistra e di centro, portando avanti un dialogo tra laici e cattolici in alternativa alle destre. Ed è proprio questa capacità di unire forze storicamente distanti la chiave del successo politico del Professore. Nel 1996 Prodi sale al Governo dopo la vittoria elettorale sull’avversario di sempre (anche di oggi) Berlusconi un governo che, proprio come il successivo, durerà solo due anni, scivolando su un voto di fiducia.
Un nome che al momento e che forse non incarna quella ricerca di pacificazione che era stata messa in moto dai leader di due delle principali forze del Paese nei giorni scorsi, ma che potrebbe, poi, proprio come Napolitano, riunire il Paese sotto il nome della Costituzione, riuscendo ancora una volta a ricucire tra forze tra loro contrapposte.
Di certo, Prodi rappresenta il massimo che l’Italia possa offrire da un punto di vista del prestigio a livello internazionale. Tra le due esperienze di Governo (1996-1998 e 2006-2008) Prodi, vero fautore dell’ingresso dell’Italia nella moneta unica, riveste la carica di presidente della Commissione Ue, a riprova di un altissimo profilo internazionale. Dopo la caduta del suo secondo mandato, invece, lavora a stretto contatto col segretario dell’Onu Ban Ki-Moon. Proprio per questo è volato in Mali, da dove tornerà domani. Forse, come presidente della Repubblica italiana.