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Processo al calcio: allarme infortuni. Si gioca troppo. Medici e calciatori in coro: “Così si rischia”

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Chiamatela pure emergenza infortuni, oppure, se preferite, logica conseguenza di un calendario folle. Il calcio è sport di contatto, dunque i problemi fisici fanno parte del gioco, ma quanto sta avvenendo negli ultimi tempi va ben oltre i semplici effetti collaterali, sia in Italia che in Europa. E così la stagione più lunga di sempre (dalla prossima estate, infatti, andrà in scena pure il Mondiale per Club Fifa) è già iniziata all’insegna di defezioni e guai vari, alcuni talmente grossi da mettere in discussione la tenuta stessa del sistema, almeno così concepito.

Allarme infortuni: da Bremer a Rodri, quanti big in infermeria!

La sosta di ottobre, la prima dopo un mese fitto di impegni, fa registrare numeri da brividi. Prendendo in considerazione la sola Serie A, infatti, sono già 76 gli infortunati su un totale che supera di poco i 500: quasi un quinto dell’intero parco giocatori, dunque, si è già fermato ai box. A preoccupare di più, però, è il tipo di infortunio, visto che si contano ben 13 rotture del legamento crociato, ovvero l’incubo di ogni calciatore. Gli ultimi in ordine di tempo sono stati Bremer della Juventus e Zapata del Torino, ma come dimenticare Scamacca e Scalvini (Atalanta), Ferguson (Bologna) o Malinovskyi (Genoa), fermatosi per una frattura del perone?

Il problema non è solo italiano, anzi all’estero, se possibile, va anche peggio, almeno a livello di nomi. Il Real Madrid dovrà fare a meno di Dani Carvajal (tripla frattura al ginocchio) e di David Alaba (crociato), Il Barcellona di Gavi, Ter Stegen e Araujo, il Manchester City di Rodri, il Bayern Monaco di Stanisic e Boey, il Paris Saint Germain di Lucas Hernandez e Gonçalo Ramos, il Marsiglia dell’interista Valentin Carboni, l’ultimo in ordine di tempo a farsi male con la maglia dell’Argentina.

Una vera e propria moria di atleti, costretti a fare i conti con una velocità di gioco molto più evidente del passato, ma anche (se non soprattutto) con un calendario che non prevede soste, focalizzato solo sull’offrire più partite che mai, in barba alla salute e allo spettacolo.

Medici e calciatori in coro: “Si gioca troppo, così si rischia!”

Certo, si potrebbe obiettare che più gare equivalgono a più soldi ed effettivamente è proprio così, ma l’estremizzazione del concetto non conviene a nessuno. Non ai calciatori, a rischio salute come non mai, non ai club, i primi a rimetterci se un loro “asset” si rompe, meno che mai agli enti organizzatori, costretti poi a dover togliere le stelle dalle locandine di vendita.

Giocando ogni tre giorni si va a sovraccaricare l’organismo, se uno entrasse nel merito scientifico avrebbe ben visibili i danni che si fanno – ha spiegato Enrico Castellacci, storico dottore della Nazionale e attuale presidente dell’associazione dei medici -. A questi ritmi avremo altri infortuni perché non c’è recupero, sia a livello muscolare che articolare. Spesso ci scordiamo che questi oggi sono calciatori, ma un giorno saranno uomini con problematiche grosse. Questo, però, è un grido nel deserto, non ci ascolta nessuno: l’ho denunciato da presidente dell’associazione dei medici, ma i vertici del calcio non ascoltano”.

“I top team non riescono più ad allenarsi giocando 80 partite a stagione, i giocatori faranno 20 allenamenti seri durante l’anno – gli ha fatto eco Umberto Calcagno, presidente dell’associazione italiana calciatori -. Tutti siamo contro la UEFA, non c’è un periodo di sosta invernale, ma nemmeno estivo, si finisce il 15 luglio con i campionati che iniziano subito dopo. Rischiamo di far perdere la passione alla gente e quindi anche soldi, quando invece si dovrebbe fare tutto ciò per massimizzare”.

Fifa e Uefa non ci sentono: le coppe si allargano e a giugno scatta il Mondiale per Club

Un passo indietro non è però preventivato, anzi i calendari, se possibile, si sono addirittura infittiti.

La Uefa ha varato le nuove formule di Champions ed Europa League, aumentando partite (otto invece di sei) e numero di partecipanti, sulla falsa riga di quanto già avvenuto a livello di Nazionali, con gli Europei allargati a 24 squadre contro le 16 delle precedenti edizioni.

La Fifa, dal canto suo, non è certo rimasta a guardare e dopo il Mondiale in Arabia tra novembre e dicembre (facendo slittare campionati e coppe), ha lanciato la prima edizione di quello per club, in programma nella prossima estate. Si partirà il 15 giugno 2025 per finire il 13 luglio, con 32 squadre a girovagare per gli USA (da Seattle a New York, passando per Los Angeles, Miami, Orlando, Atlanta, Nashville, Charlotte, Cincinnati, Washington e Filadelfia) a caccia di un sostanzioso montepremi. L’idea sarebbe anche interessante, ma le 63 partite in 29 giorni non saranno una passeggiata e andranno a inficiare le gambe di atleti sempre più stanchi, costretti poi a rituffarsi nella nuova stagione quasi per inerzia.

Nazionali sotto accusa, ma i CT si difendono: “Noi siamo vittime”

I club si lamentano, ma non fanno nulla per cambiare le cose. Fosse stato per loro la nuova Champions sarebbe stata ancora più fitta (volevano arrivare a 10 partite nella prima fase, rispetto alle 8 attuali), per non parlare delle riforme dei campionati, bloccate proprio dall’interno: immaginare una Serie A con 18 squadre (togliendo così quattro giornate complessive) è quasi impossibile, così come Premier, Liga e Ligue 1, tutte ormai fossilizzate sul format a 20.

Il mirino si sposta così sulle Nazionali, accusate di occupare slot importanti e saturare definitivamente i calendari. Le vecchie amichevoli sono state sostituite dalla Nations League, senza contare qualificazioni a Mondiali ed Europei, spesso “colpevoli” di infortuni scontati poi dai club. “In media giochiamo una partita al mese, che da luglio a marzo diventano sei in otto – s’è difeso Luis de la Fuente, CT campione d’Europa con la Spagna -. Il problema non sono certo quelle, bensì le 70 disputate precedentemente. I responsabili sono coloro che coordinano le stagioni, i giocatori: se dovessi gestire così tante gare, forse lo farei diversamente… non è colpa nostra, anzi noi siamo vittime di questa situazione”. Nessuno ha torto e nessuno ha ragione, in linea con un sistema palesemente sbagliato, eppure conveniente a molti. Almeno fino a quando il pubblico, vero giudice dello sport più popolare del mondo, si sarà stancato: allora sì che le parti in causa potrebbero intervenire, nella speranza che non sia troppo tardi.

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