Il governo ha ripreso in considerazione l’idea di privatizzare alcune società statali cercando i fondi per i 20 miliardi previsti nei prossimi tre anni nella Nadef, una sfida che rasenta l’impossibile. Le società su cui punterebbe per aprire il capitale ai privati sarebbero Poste Italiane e Ferrovie dello Stato, oltre alla cessione di una quota del Monte dei Paschi. E l’obiettivo sarebbe quello di riuscirci entro aprile 2024.
Ma l’apertura al settore privato del Gruppo guidato da Luigi Ferraris solleva una serie di problematiche complesse che vanno ben oltre l’aspetto finanziario.
Privatizzare tutto il Gruppo FS
Ferrovie dello Stato è delle grandi società pubbliche privatizzabili l’ultima di cui lo Stato possiede il 100% ma la sua privatizzazione è tutt’altro che semplice.
L’apertura del Capitale del Gruppo non si limiterebbe solo alle parti redditizie, come Trenitalia e in particolare l’Alta Velocità, ma includerebbe l’intera holding, comprensiva di Rfi, che gestisce la rete ferroviaria, e Anas, responsabile della rete stradale. Ma se il business di Trenitalia non comporterebbe nessun problema, più complessa è la situazione per quanto riguarda le altre due società.
Il problema della rete ferroviaria e stradale
Il problema di fondo risiede, nella privatizzazione di società con reti, che queste società spesso operano in regime di concessione e le infrastrutture sono di proprietà dello Stato. La rete ferroviaria, in particolare, rappresenta una parte sostanziale del valore complessivo delle Ferrovie dello Stato.
La privatizzazione della rete ferroviaria è la parte più delicata poiché questa è responsabile della maggior parte degli investimenti, tra cui quelli provenienti da fondi pubblici ed europei come il Pnrr. Il ritorno su questi investimenti dovrebbe derivare dai canoni pagati da società come Trenitalia e Italo, principalmente generati dalle tratte ad alta velocità, mentre le tratte regionali e locali rappresentano una sfida maggiore.
Quando si decide di aprire il capitale, il governo deve garantire che il valore delle infrastrutture venga bilanciato rispetto al prezzo che richiede per l’ingresso dei privati. Questo aspetto rende il processo di privatizzazione complesso e richiede una valutazione accurata delle infrastrutture e degli asset coinvolti.
Almeno un anno e mezzo per determinare il valore delle attività
Per determinare la redditività degli investimenti, è essenziale stabilire il valore degli asset coinvolti, che dovrebbero essere oggetto di una regolamentazione specifica. È quindi fondamentale chiarire e rendere trasparenti i criteri secondo i quali vengono determinati i rendimenti sugli investimenti, considerando anche l’aumento dei tassi di interesse sul debito.
Il processo richiederebbe tempo, forse un anno e mezzo, per determinare il valore di infrastrutture come binari, ponti e altre infrastrutture. Inoltre, nel caso delle Ferrovie dello Stato, non si tratta solo di reti ferroviarie, ma anche di una vasta rete stradale gestita da Anas.
È necessario stabilire il Rab, che rappresenta il valore degli asset regolati, e specificare in che modo e in quale misura verranno ripagati gli investimenti, presumibilmente attraverso i prezzi dei biglietti dei treni.
Insomma un processo complesso che richiede una pianificazione accurata.
Mantenere la liberalizzazione del settore
Un altra problematica riguarda la liberalizzazione del settore. Rfi deve mantenere una gestione separata dal resto del gruppo poiché il settore ferroviario è stato liberalizzato, e Trenitalia deve competere con altri operatori, come Italo.
Un’opzione potrebbe essere quella di scorporare Trenitalia e Rfi mantenendo la seconda sotto il controllo diretto dello Stato.
Più veloce la cessione del 29% di Poste Italiane
Per generare liquidità in modo rapido, la cessione di parti di società già quotate rappresenta la soluzione più immediata.
La situazione di Poste Italiane, per esempio, è più semplice. Il valore della società è notevolmente aumentato dalla quotazione, passando da 6,75 euro nel 2015 a 9,82 euro, con una capitalizzazione di quasi 13 miliardi di euro. Se lo Stato vendesse il 29% della società, incasserebbe circa 3,6 miliardi di euro, mantenendo un controllo poco oltre il 30% che rimarrebbe in mano a Cdp. L’unica problematica da risolvere sarebbe quella riguardante la quota di dividendi alla quale lo Stato dovrebbe rinunciare nel processo di privatizzazione.