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Primo rapporto Istat sulla competitività: le imprese che internazionalizzano vanno meglio

Nel suo primo rapporto sulla competitività, l’Istat mette in eveindenza come, al di là della specializzazione produttiva, l’impresa che si internazionalizza va meglio delle sue concorrenti che restano ancorate sul solo mercato domestico

Primo rapporto Istat sulla competitività: le imprese che internazionalizzano vanno meglio

L’Istat mette a fuoco la competitività delle imprese italiane. E lo fa con un rapporto, primo nel suo genere, che costruisce un quadro informativo dettagliato sulla struttura, le performance e le dinamica del sistema produttivo italiano. Si chiama “Primo rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi – Performance e strategie di internazionalizzazione delle imprese italiane” ed è stato presentato oggi presso la sede romana dell’ente statistico.

“Il leitmotiv di questo rapporto – ha detto il presidente dell’Istat Enrico Giovannini – è il concetto di integrazione delle informazioni. Dal momento che di macrodati ne esistono tanti e di varie forme, ci siamo voluti concentrare sui microdati e, per farlo, abbiamo dovuto unire le nostre forze con quelle degli altri”. In questo senso di parla di integrazione: il database del rapporto è nato dall’unione e dall’elaborazione di dati provenienti da differenti realtà e da diversi enti. “Solo così possiamo analizzare i comportamenti delle nostre imprese – ha proseguito – e capire i loro punti di forza come le possibili aree di miglioramento”. La base di dati da cui parte l’Istat integra le informazioni sulle modalità di internazionalizzazione delle imprese italiane (esportazione e importazione di beni e servizi per aree geografiche di destinazione e di provenienza, numero di prodotti esportati e importati, controllo da imprese estere o su imprese estere) con quelle relative alle caratteristiche strutturali delle unità produttive (settore di attività economica, dimensione, localizzazione geografica) e alle principali voci del conto economico (fatturato e produzione, costi intermedi, costo del lavoro, valore aggiunto). 

Il rapporto ha come scopo quello di indagare sull’internazionalizzazione delle imprese italiane e sul rapporto causa-effetto con la competitività e la crescita sul mercato. “Soprattutto in tempi di crisi, parlare di internazionalizzazione è importante – ha detto Matteo Bugamelli di Banca D’Italia – perchè la domanda interna è debolissima e solo le imprese che hanno uno sguardo verso l’esterno possono sopravvivere”. L’export è una componente importante nella misurazione del Prodotto interno lordo; basti pensare che nel 2011 le esportazioni nette hanno inciso sul Pil per 1,4 punti percentuali (il saldo della bilancia commerciale è stato influenzato sia dal calo della domanda interna e quindi delle importazioni che dall’aumento delle esportazioni). “Le informazione che escono da questo rapporto – ha detto l’economista Giorgio Barba Navaretti – sono importanti perché finalmente ci aiutano a capire il nesso tra competitività delle imprese italiane e caratteristiche delle stesse. Noi abbiamo la cattiva abitudine di concentrarci sempre sulle cose negative del nostro Paese e mai sui punti di forza. Questo rapporto dell’Istat ci aiuta a farlo”.

Alcune conclusioni del rapporto. Le imprese che internazionalizzano hanno più possibilità di aumentare la propria competitività, fanno uso di due particolari strategie (di prodotto e di contenimento dei prezzi) e devono affrontare principalmente due problemi (alti costi di produzione e difficoltà di accesso al credito). La specializzazione settoriale è poco rilevante ai fini dell’indagine di chi internazionalizza e chi non lo fa; la dimensione dell’impresa è sempre un freno alla competitività e soprattutto alla capacità di esporsi al mercato estero. 

Le imprese analizzate tra il 2007 e il 2010 sono oltre 90.000 e operano sui mercati esteri. Tra il 2007 e il 2010, pur in presenza di una riduzione del numero totale di imprese del campione che hanno relazioni commerciali o produttive con l’estero (circa 5 mila unità, con una base occupazionale di circa 315 mila addetti), le imprese presenti in entrambi gli anni mostrano un generale spostamento verso forme più evolute di internazionalizzazione: il 12,3 per cento del campione di imprese considerate nell’analisi (poco più di 7 mila imprese) ha effettuato transizioni verso tipologie meno evolute, mentre oltre il 18 per cento (circa 10.500 unità) si è spostato verso tipologie più complesse della scala dell’internazionalizzazione.


Allegati: Istat – Primo rapporto sulla competitivit� delle imprese italiane

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