Non è dato sapere se è solo un fuoco di paglia, ma l’uomo del momento è decisamente lui: Bernie Sanders, il candidato più “a sinistra” di tutta la storia recente degli Stati Uniti, sta rimontando sulla favoritissima Hillary Clinton nelle Primarie del Partito democratico, che entro tre mesi produrranno il candidato da sostenere alle presidenziali di novembre.
Uno dei passaggi chiave di questo tentativo di rimonta, forse il più decisivo, si gioca oggi nella tappa di New York, dove i democratici mettono in palio quasi 300 delegati: se il senatore del Vermont dovesse conquistarne la maggioranza, ridurrebbe ulteriormente il gap sull’ex first lady e soprattutto confermerebbe di avere ormai il vento in poppa per la volata finale.
Che questo sia il momento di Sanders lo dicono tante cose: innanzitutto, il bagno di folla che ha accompagnato i suoi comizi nella Grande Mela, da Brooklyn al Queens, passando per il Bronx. “Folle alla Obama”, non ha esitato a scrivere la stampa americana. Nel frattempo per il candidato socialista c’è stato spazio anche per un veloce viaggio a Roma, dove ha incontrato Papa Francesco. Un brevissimo colloquio che non è stato comunque un fatto politico ma un “gesto di cortesia”, come hanno chiarito sia Bergoglio che lo stesso Sanders, il quale ha precisato che il viaggio in Vaticano non è stato un tentativo di compiacere l’elettorato cattolico ma una dimostrazione di ammirazione per il Pontefice.
A sostenere Sanders ci si sono messe anche le star di Hollywood, anche se indirettamente. George Clooney venerdì e sabato ha ospitato a San Francisco e a Los Angeles due eventi di raccolta fondi a favore della candidata Hillary Clinton, dove si è arrivato a donare 353mila dollari per coppia, fatto che ha scatenato la protesta del fronte Sanders, che invece si vanta di aver ricevuto donazioni medie da 27 dollari a persona. E Clooney è sembrato d’accordo. In una intervista l’attore ha infatti affermato che le contestazioni “sono completamente fondate. È una cifra oscena. È ridicolo che ci debbano essere tutti questi soldi in politica. Sono completamente d’accordo”. Sanders a New York ha anche girato una clip con Mark Ruffalo, che ha recitato nel film recente vincitore del premio Oscar, “Il caso Spotlight”.
Tornando ai contenuti, lo scontro a New York si gioca sulle minoranze. In particolare sulla popolazione nera, storicamente vicina a Clinton nel segno della continuità con Obama (di cui Hillary è stata segretario di Stato nel primo mandato) ma che a Manhattan e dintorni sembra essere sempre più attratta dallo sfidante socialista. Il tema centrale della sfida è il Violent Crime Control and Law Enforcement Act of 1994, ovvero il “crime bill” voluto dall’allora presidente Bill Clinton per arginare l’ondata di omicidi nei primi anni ’90. Il provvedimento, che prevedeva anche un forte sostegno alla prevenzione per risolvere il problema dell’affollamento delle carceri, si è rivelato un flop ed è avvertito come particolarmente repressivo dalla popolazione nera e soprattutto dai più giovani, che in tutta la campagna elettorale hanno sempre dimostrato di preferire la netta rottura proposta da Sanders. Basterà a Hillary aver preso le distanze dalla legge voluta dal marito? Una cosa è già certa: la sua candidatura si sta rivelando politicamente debole, e le difficoltà incontrate per superare la concorrenza di Sanders potrebbero essere un segnale preoccupante in vista delle elezioni presidenziali.
REPUBBLICANI – Sul fronte repubblicano la posta in palio è più bassa. Soprattutto perché a New York si assegnano solo 95 delegati, un terzo di quelli che vengono assegnati dai democratici: su 8 milioni di residenti nella City, gli elettori sono circa 4 milioni, e di questi se ne attendono meno di 80.000 ai seggi repubblicani, contro i quasi 800.000 stimati per i democrats.
Guida la corsa sempre Donald Trump, che in questa campagna elettorale ha seminato il panico, arrivando nonostante tutto a raccogliere 743 delegati, duecento in più rispetto a Ted Cruz: vince chi arriva a 1.237 e la sensazione è che il magnate potrebbe sì finire primo, ma senza raggiungere la soglia decisiva. In questi giorni comunque non si segnalano grandi sussulti, soprattutto da parte di Cruz, che il New York Times non esita a definire “il candidato alla presidenza più conservatore da almeno mezzo secolo”. E’ invece Trump a catalizzare tutte le attenzioni, nel bene e nel male: “Con Trump non c’è una zona grigia – sentenzia il Washington Post -: o lo ami, o lo odi”. Insomma, si finisce sostanzialmente per votare lui o contro di lui. “Trump è il front-runner repubblicano da mesi: questo è ancora vero, ma oggi è meno vero che in qualsiasi altro momento degli ultimi tre mesi”, ha scritto sempre il WP ricordando che il candidato più trash dell’intera campagna ha finora vinto in 20 Stati: il doppio di quelli in cui ha vinto Cruz (1 solo è andato a Kasich). Ma questo è il momento peggiore della sua campagna, ovvero l’ultima spiaggia per la rimonta di Cruz.