Ad oggi, sarebbe un pareggio. Dopo tanti sorpassi e controsorpassi, che hanno visto prima Hollande andare in fuga, poi Sarkozy recuperare, e recentemente il candidato socialista riprendere il sopravvento (anche nelle proiezioni per l’ormai certo secondo turno), il borsino dei sondaggi dà adesso i due pretendenti principali alla carica di Presidente della Repubblica francese esattamente appaiati.
Secondo il rilevamento più recente, diffuso in mattinata da Ipsos/Business, il presidente uscente Nicolas Sarkozy e lo sfidante (e favorito) François Hollande, hanno perso entrambi qualche punto percentuale di gradimento rispetto alle ultime proiezioni, vedendo scendere al 27% le intenzioni di voto al primo turno per ciascuno. Al secondo turno però, secondo Le Monde, il candidato della gauche starebbe creando il vuoto: 56% contro il 44% dell’ultimo inquilino dell’Eliseo.
Il terzo incomodo si conferma non essere nè il centrista Bayrou (che punta fiaccamente sugli indecisi), fermo intorno al 10% delle intenzioni di voto, nè il candidato di estrema sinistra Jean-Luc Mélenchon (che è andato oltre la proposta di Hollande, già da molti ritenuta spropositata, di tassare al 75% i redditi oltre il milione: aliquota al 100% oltre i 350mila euro e pensione a 60 anni!), stabile a un pur sorprendente 14,5%: è invece la figlia d’arte Marine Le Pen, candidata del Front National di estrema destra, a mettere – come fece più volte il padre Jean-Marie – in imbarazzo la Francia con il 15,5% dei consensi attualmente dichiarati. Stavolta tuttavia, il “rischio” di una clamorosa promozione al secondo turno appare comodamente sventato: sarà Sarko-Hollande, all’ultimo respiro.
Ma come si è svegliata la Francia a cinque giorni dal voto? Innanzitutto, con un paio di interviste che fanno discutere. Molto forte quella rilasciata ieri da François Hollande al Financial Times, che lascia presagire, nel caso – sempre più probabile – di un cambio della guardia a Parigi, uno scontro campale tra il nuovo governo di sinistra e la Banca centrale europea, accusata da Hollande di non essere intervenuta un maniera abbastanza energica per evitare il default della Grecia. Il leader socialista ha anche rievocato l’atmosfera che accompagnò lo storico trionfo di François Mitterand nel 1981, poi rieletto sette anni dopo: Hollande si sente pronto a ripetere quell’exploit e a diventare il secondo presidente socialista nella storia della quinta Repubblica francese. Il carisma non è ancora quello dell’omonimo ex presidente, ma già sufficiente per conquistare il suo successore.
In un’intervista a Le Parisien, infatti, Jean-Luc Barré, biografo di Jacques Chirac (presidente di destra dal 1995 al 2007 e cofondatore nel 2002 con Sarkozy del partito Ump), ha dichiarato che l’ex capo dello Stato ha già deciso che “tradirà” il suo pupillo e voterà per Hollande.
A certificare che questo non è il momento migliore della campagna elettorale di Sarko sono poi le accuse di cooperazione con l’allora dittatore della Libia Muhammar Gheddafi piombate sulla testa del presidente uscente dal libro-verità di Anne Lauvergeon, ex numero uno del gruppo nucleare transalpino Areva. La Lauvergeon accusa Sarkozy di aver firmato nel 2007 un accordo di collaborazione nucleare e di aver provato a vendere una o più centrali al colonnello libico per la cifra di due miliardi di euro. Il tutto, come da impeccabile copione pre-elettorale, è stato prontamente smentito dal diretto interessato.
L’argomento tuttavia non dovrebbe sconvolgere l’elettorato medio francese: la sfida, come si sa ormai da mesi, si gioca tutta sulla crisi, sul lavoro e soprattutto sul ruolo internazionale della Francia. Da questo punto di vista, il candidato di centrodestra ha indirettamente replicato su France Inter alla dura presa di posizione di Hollande sulla Bce: Sarko ha ormai deciso di vestire i panni del moderatore, invocando un “sereno dialogo” con l’istituto bancario continentale. Mentre dunque la sinistra chiede a gran voce di rivedere il Fiscal Compact, Sarkozy, che quel patto l’ha firmato, non può che limitarsi ad auspicarne un’applicazione più elastica.
Ma chi dei due sta al meglio interpretando il sentiment dei francesi? Stando ai numeri, dovrebbe essere la fermezza di Hollande a cavalcare l’onda dell’opinione pubblica, che trova conferma in un dato: i due outsider, la Le Pen e Mélenchon, sono entrambi fortemente anti-europei (per non dire euro-fobici) e mettono insieme il 30% delle intenzioni di voto nei sondaggi. Quasi un francese su tre è dunque ostile all’Europa. Che sia questa la chiave di volta per sedere all’Eliseo?
Una cosa intanto è certa: la questione riguarda da molto vicino l’Italia, che potrà così trovare un alleato contro l’intransingenza della Bundesbank. La Francia infatti, chiunque vinca le elezioni, non è più la spalla forte di Berlino, e la sua crisi la sta sempre più allontanando da Brandeburgo per avvicinarla ai venti di recessione del Mediterraneo. Dopo aver perso la tripla A a gennaio, lo spread fra i titoli di Stato transalpini e tedeschi, che ha viaggiato sulla parità per quasi tutto il 2011, è adesso costantemente oltre i 120 punti base. Motivo in più per intraprendere la strada del rigore, chiedendo però tempo e clemenza all’ex alleato di ferro. Il rischio però è che in caso di vittoria socialista, la Germania si irrigidisca ancora di più.
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