Hollande è il superfavorito. Ma, mentre i sondaggi indicano un divario sempre più amplio tra Nicolas Sarkozy e il candidato socialista, per il primo turno delle presidenziali francesi, la vera incognita resta la seguente: in quanti alla fine domenica preferiranno rinunciare al voto? E come gli astensionisti potranno influire sul risultato, anche del secondo turno?
Qualcuno lo chiama “il primo partito di Francia”. Secondo le ultime stime, potrebbe comprendere fino al 30% dell’elettorato. E’ una nebulosa indefinita, fatta di giovani della periferia (molti di origini maghrebine), ceto medio-basso particolarmente colpito dalla crisi economica (spesso con lavori precari, un fenomeno in ascesa nella Francia contemporanea, dalla disoccupazione che ormai sfiora il 10%), anche persone di livello culturale più elevato, deluse dalla politica (di sinistra, soprattutto). L’astensionismo si aggiunge a una forte volatilità: almeno un francese su due ha ammesso di aver cambiato idea nelle intenzioni di voto negli ultimi sei mesi. Per questo i due maggiori contendenti della sfida cercano di attirare consensi fra gli scoraggiati e gli indecisi. Questi voti, invece, potrebbero andare ai due principali outsider, Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon.
Sarkozy, una svolta a destra che non ha convinto. Ma dove ha sbagliato il trionfatore del 2007? L’uomo di destra che diceva “cose di sinistra”? Nel frattempo sono trascorsi cinque anni, dove il Presidente ha disatteso tante delle troppe promesse del candidato. Ci sono anche errori di strategia: una campagna iniziata troppo tardi, innanzitutto. E con un errore madornale al principio, presentarsi in diretta tv, all’inizio di febbraio, ai francesi assieme ad Angela Merkel. I telespettatori-elettori quell’appoggio ostentato della cancelliera lo interpretarono in realtà come un servilismo da parte di Sarkozy. In seguito, la Merkel è sparita dalla circolazione. Del “modello tedesco” niente più traccia nei ragionamenti del Presidente. Che ha preferito ritornare a un discorso conservatore (vedi lotta all’immigrazione clandestina e la priorità della sicurezza) per recuperare almeno l’elettorato tradizionale del suo partito, l’Ump. Gli ha permesso di risalire inizialmente nei sondaggi. Ma la corsa si è fermata ben presto. Gli astensionisti? Nel 2007 riuscì ad attirarne fra i giovani della periferia e gli emarginati del ceto medio. Ora è molto improbabile che possa convincerne. Anche se Sarkozy può sempre riservare qualche sorpresa. Un coup de théatre preparato con i suoi consiglieri della comunicazione, ad esempio. Uno dei suoi discorsi “umani” e un po’ strappalacrime. Con lui non si sa mai.
Hollande, lo stratega di una sinistra in crisi. Cominciamo dagli aspetti negativi. Hollande fa parte di una generazione di cinquantenni socialisti, passati attraverso le grandes écoles della Repubblica, e che, nel tempo, si sono distanziati sempre più dalla loro base elettorale e dalla vita reale: finiti nella roccaforte parigina dei radical chic. Non dimentichiamoci che il suo partito era profondamente in crisi fino a un anno fa. E, probabilmente, al di là delle apparenze di una campagna elettorale che ormai sembra vittoriosa, lo è ancora. Inoltre Hollande, a differenza di Sarkozy, non è un buon oratore dinanzi alla gente con la g maiuscola. Ha, però, il vantaggio di essere una persona seria, un grande lavoratore. In una campagna molto lunga, per niente improvvisata, ha saputo mettere su un programma economico più credibile di quello dell’avversario. Non ha rinunciato a qualche punta di populismo, come la sua presunta guerra contro l’alta finanza e la tassazione del 75% sui redditi netti annui di oltre un milione di euro: non è che rimarranno solo promesse di campagna? Ha saputo anche cavalcare con abilità un certo antieuropeismo così caratteristico del francese medio. E qui forse qualche promessa la manterrà, visto che le critiche al fiscal compact arrivano ormai da tutta Europa. Certe volte, diciamolo, è vago, ad esempio sui tagli alla spesa pubblica, che devono permettere a Parigi di rientrare da un deficit pubblico del 5,2%. E al Ps è anche conosciuto per essere un indeciso, uno che non sa prendere le decisioni in fretta. Uno che non ha mai fatto il ministro. Che non ha esperienza amministrativa diretta. L’astensionismo? Lo teme moltissimo. Il figlio Thomas lo ha messo in guardia sul fatto che non ha saputo parlare ai giovani della periferia.
Marine Le Pen, il terzo incomodo. E’ uno dei “fenomeni” più interessanti di queste elezioni. In maniera studiatissima, assiema a Louis Aliot, suo compagno e vicepresidente del Front National, la zarina dell’estrema destra ha portato avanti un’operazione di “dédiabolisation” dell’Fn, in buona parte riuscita. Insomma, prendere le distanze dagli eccessi del padre (che è arrivato a negare l’esistenza delle camere a gas dei campi di concentramento nella Seconda guerra mondiale…), ma al tempo stesso non perdere il nocciolo duro intollerante dell’elettorato del suo partito. Sì, sempre in bilico sull’ambiguità, come è successo anche a tanti ex Msi in Italia. Il risultato è che la Le Pen potrebbe arrivare pure al 17% dei consensi al primo turno, perfino al 20%, secondo certi sondaggi. Proprio la Le Pen potrebbe attirare una parte massiccia di astensionisti, soprattutto il ceto medio-basso, con livello culturale non elevato, sempre più anti-sistema e contestatario. Tra di loro, numerosi i giovani, soprattutto in provincia: secondo un sondaggio Csa la candidata del Front National è la preferita in assoluto nella fascia d’età 18-24 anni a livello nazionale. Al secondo turno dove andranno i suoi voti? Non è automatico che si spostino su Sarkozy. Non è detto per nulla.
Mélenchon, il populista di sinistra. A ruota la Le Pen è seguita da Jean-Luc Mélenchon, leader del Front de gauche. E’ il candidato dell’estrema sinistra, in realtà un ex socialista e un ex mitterrandiano. Ai comizi si presenta in giacca e cravatta, anche se non manca la sciarpa rossa, per ricordare che lui è di sinistra: non ha, comunque, il look del no global. Eppure per arrivare anche al 15% nei sondaggi degli ultimi giorni, pure da quel bacino sono arrivati voti a questo politico, che è un grande oratore, dal francese forbito (sicuramente il migliore di tutti i candidati). Ha la libertà di poterne sparare di tutti i colori, tipo aumentare il salario minimo o ridurre l’età pensionabile, in una fase di crisi economica come quella attuale. Anche Mélenchon può attirare parte degli astensionisti, nel popolo delle banlieues e soprattutto nel ceto medio-basso di livello culturale elevato. In ogni caso è sicuro che il grosso dei suoi voti vada al secondo turno a Hollande.