I giochi non sono fatti, per nulla: a tre mesi dal primo turno delle presidenziali francesi i divari tra i principali contendenti restano ancora serrati. Il favorito, comunque, rimane lui, dall’ottobre scorso: François Hollande, il candidato socialista. Come cambierà la seconda economia della zona euro, se la sinistra in Francia ritornerà davvero al potere? Quale influenza la svolta potrebbe avere sulla gestione della crisi attuale della moneta comune? Rimasto vago a lungo, Hollande negli ultimi giorni ha presentato il suo programma. E chiarito a più riprese cosa abbia in mente. “Il mio avversario? E’ il mondo della finanza”, ha detto. Ma, dopo aver somministrato questo inevitabile “contentino” a una certa sinistra francese, ha sciorinato cifre, previsioni, possibili politiche per le imprese, pure molto liberal. Forse il primo vero tentativo di socialdemocrazia europea a Parigi.
Non facciamoci illusioni: una ripresa decisa non è dietro l’angolo – Hollande promette tassi di crescita fra il 2 e il 2,5% alla fine del suo eventuale mandato, nel 2017. Ma per il 2012 stima un aumento di appena lo 0,5% (contro l’1% che, con una buona dose di illusione, ancora prevede il Governo). Per il 2012 punta a un +1,7%, sotto le aspettative di Sarkozy e compagnia. Da una parte, mette le mani avanti e se lo può permettere (se Sarkozy ammettesse l’inesattezza delle sue cifre, dovrebbe procedere a una nuova manovra alla vigilia delle elezioni). Dall’altra parte, Hollande ha dato prova di realismo. Laureato all’Hec (la principale scuola di business francese, una delle migliori in Europa), circondato da economisti del calibro di Philippe Aghion, professore ad Harvard, non proprio un rivoluzionario (parla continuamente di “superamento di Keynes”), punta alla credibilità, la cui assenza è una delle critiche maggiori avanzate da sempre in Francia alla sinistra nel campo economico. “Prometto – ha detto – solo quello che posso mantenere”.
La sinistra francese scopre le piccole e medie imprese – L’obiettivo di Hollande è arrivare alla parità di bilancio nel 2017. Progressivamente, entro quella data vuole realizzare 60 misure che costeranno 20 miliardi di euro all’anno. Altri 29 serviranno a ridurre il debito pubblico. Si tratta di 49 miliardi in tutto, ottenuti in grossa parte togliendo le “nicchie fiscali”, sgravi fra i più svariati di cui beneficiano soprattutto le imprese. E che per 5 anni Sarkozy ha cercato inutilmente di ridurre. Gli economisti, di vario orientamento, hanno reagito positivamente. In tanti hanno parlato di realismo: raro per un candidato alle presidenziali francesi… La vera svolta di Hollande è l’accento messo sulle Pmi e sulla salvaguardia dei piccoli produttori manifatturieri, che per il Partito socialista, ultimamente ormai attento solo alla “salvezza” dei funzionari pubblici, è un’assoluta novità. Hollande prevede di creare una banca pubblica d’investimento a favore delle piccole e medie imprese (con una dotazione annua di 2,5 miliardi) e vuole introdurre un libretto di risparmio per il finanziamento di questo tipo di aziende, che i cittadini possano sottoscrivere, sul modello di quello esitente per le case popolari.
Quale fiscalità per i cittadini e per le società – Premessa: Hollande vuole aumentare il carico fiscale obbligatorio (fino a un massimo del 47% del Pil nel 2017). E’ un atto di coraggio, che, però, negli ultimi giorni è stato anche criticato da molti dei suoi partigiani: si puo’ vincere promettendo di aumentare le tasse? Hollande prevede di tagliare le “nicchie fiscali” per un totale di 29 miliardi di gettito all’anno. E’ una crociata sacrosanta. Ma, a dire il vero, anche Sarkozy ci ha provato e ha fatto un buco nell’acqua. Riguardo all’equivalente del nostro Irpef, il candidato socialista vuole tassare maggiormente i redditi più elevati, introducendo una nuova aliquota del 45% per i redditi annui lordi superiori ai 150mila euro e aumentando quelle della patrimoniale. Per quanto riguarda le imprese, l’obiettivo è uno 0,1% in più generalizzato per i contributi sociali (misura criticatissima dal Medef, la Confindustria francese), ma soprattutto una tassazione differenziata in relazione alle dimensioni dell’azienda: il 35% per le più grandi, il 30% per le Pmi, ma addirittura il 15% per quelle molto piccole. Infine, 15 punti percentuali supplementari per la tassazione sugli utili delle banche: una misura che nella Francia di oggi, dove essere anti-finanza va di moda, puo’ portare molti voti. Ma che, vista la situazione contabile dei colossi del credito transalpini, appare di difficile applicazione, almeno sul breve-medio periodo.
Separare attività retail e di investment bank – E’ l’altro cavallo di battaglia di Hollande: imporre quella separazione a tutte le banche francesi. Anche il Regno Unito sta preparando una legge, che va nella stessa direzione. E gli Stati Uniti, senza ritornare alla Glass-Steagall Act del 1933, si apprestano a proibire certe operazioni speculative da parte delle banche, in applicazione della legge Volcker del 2010. Non è chiaro, però, quello che Hollande voglia fare. Parte del suo entourage spinge per la mano dura, per una separazione totale e un divieto il più amplio possibile nel vasto bacino dei derivati. Tale novità, soprattutto in questi termini, è altamente temuta sulla piazza finanziaria parigina. Cosa succederà se la Francia agirà da sola e nel modo più duro? Si assisterà alla fuga di numerosi operatori finanziari verso altri Paesi?
Fiscal compact e relazioni con la Germania – L’accordo sulle nuove regole di bilancio a livello europeo non piace a Hollande e ai socialisti francesi, che si oppongono alla “regola d’oro”, l’impegno alla parità di bilancio inserito nella Costituzione nazionale. E’ anche per questo motivo che Sarkozy ne ha bloccato la procedura di ratifica da parte del Parlamento da qui alle legislative, che in Francia si svolgono allo stesso momento delle presidenziali. Hollande non perde occasione per ripetere che, se eletto, chiederà di rinegoziare il fiscal compact. Non solo: vuole anche rivedere il trattato di amicizia franco-tedesco. Insomma, fare la voce grossa con Berlino. Ma la Francia ne ha oggi le capacità? Le possibilità oggettive? E rimettere in discussione l’accordo europeo non renderebbe ancora più difficile la gestione della crisi dell’euro?
Il nodo della funzione pubblica – A Hollande piace parlare di “credibilità della sinistra”. Ma un candidato della sinistra alle presidenziali francesi è credibile solo se accetta di mettere mano al ginepraio dell’amministrazione pubblica: un’armata di oltre 5 milioni di persone, più del 20% dell’occupazione totale, che non puo’ essere mantenuta con un debito pubblico in fase di accelerata lievitazione (le ultime stime per il 2011 indicano un deficit a quota 5,5% del Pil). Sarkozy ha imposto il principio di non sostituire uno su due funzionari inviati in pensione. Tra il 2008 e il 2012 sono stati eliminati 150mila posti. Hollande, poche settimane fa, ha detto di voler assumere 60mila nuovi insegnanti nella scuola. La promessa è stata giudicata irrealistica e il sintomo della solita politica del Ps francese di difesa a oltranza dei posti di lavoro nella funzione pubblica: nonostante tutto. Nei giorni scorsi il candidato ha precisato che, se verrà eletto, durante i cinque anni della sua presidenza il numero dei dipendenti della macchina burocratica francese non aumenterà. E che, quindi, per accrescere il numero di docenti, bisognerà tagliare altrove. E’ già un passo in avanti.