La riforma delle riforme. Così la ministra delle riforme istituzionali Elisabetta Casellati ha definito il disegno di legge che intende modificare la Costituzione portando avanti le promesse elettorali fatte lo scorso anno dai partiti di centrodestra. Certo, dal presidenzialismo il Governo è passato al premierato, ma la sostanza non cambia. Nel corso del vertice di lunedì la maggioranza ha trovato la quadra sul progetto di legge costituzionale che arriverà venerdì in consiglio dei ministri con l’obiettivo del governo di far approvare la riforma dalle due Camere, in prima lettura, entro le elezioni europee. Al suo interno, oltre all’elezione diretta del presidente del consiglio troviamo anche l’ormai celebre norma anti-ribaltoni, lo stop ai governi tecnici e l’addio ai senatori a vita.
L’accordo si è infatti tradotto in una bozza di testo composta da cinque articoli e aperta a modifiche fino a venerdì. Ecco cosa prevede.
Elezione diretta del presidente del consiglio
L’ultima bozza del ddl circolata nelle ultime opere modifica tre articoli della Costituzione: l’88 sul potere del capo dello Stato di sciogliere le Camere, il 92 sulla nomina del presidente del consiglio e il 94 sulla mozione di fiducia e sfiducia al governo. Parlando in parole povere, se il progetto passerà, il presidente del Consiglio sarà eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni e sarà espressione di una o più liste collegate.
Legge elettorale con premio di maggioranza
La bozza prevede anche un sistema elettorale maggioritario con un premio di maggioranza al 55% assegnato su base nazionale che assicurerebbe il 55% dei seggi nelle Camere ai candidati e alle liste collegate al candidato premier eletto. Il testo parla solo di una legge elettorale che garantisca “rappresentatività e governabilità”, ma non indica al momento una soglia minima.
I poteri del Presidente della Repubblica
Secondo la bozza non sarebbe più il Presidente della Repubblica a nominare il Presidente del Consiglio, come accade oggi in base all’articolo 92. Al Capo dello Stato spetterebbe solo il compito di conferire l’incarico al premier eletto. Il Quirinale manterrebbe invece il potere di nomina dei ministri, su indicazione del capo del governo.
Una volta incaricato e nominati i ministri, il presidente del consiglio andrà alle Camere a chiedere la fiducia: avrà due possibilità. Se non ottiene la fiducia la prima volta potrà tentare di chiederla una seconda. Di fronte a una doppia bocciatura il Capo dello Stato scioglierà le Camere. La riforma però, elimina la possibilità, per il presidente della Repubblica, di sciogliere uno solo dei due rami del Parlamento.
Norma anti-ribaltone
Se il presidente del consiglio si dimette o decade dal suo ruolo, il presidente della Repubblica può assegnare l’incarico di formare un nuovo governo al premier dimissionario o a un altro parlamentare collegato al Premier “per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere”. Non sarà dunque possibile nominare “governi tecnici” o premier esterni al Parlamento come erano Mario Monti, Matteo Renzi, Giuseppe Conte o Mario Draghi.
Addio ai senatori a vita
Il presidente della Repubblica non avrà più la possibilità di nominare senatori a vita. Rimarranno in carica gli attuali senatori.
La reazione delle opposizioni
In un’intervista rilasciata a Repubblica, il senatore Alessandro Alfieri, responsabile riforme del Pd afferma che “Siamo in presenza di un complesso pasticciato di norme che scassa la Repubblica parlamentare e serve come arma di distrazione di massa per sviare l’attenzione e coprire le mancate risposte sui problemi economici e sociali del Paese. Una tipica soluzione all’italiana che oltre a stravolgere l’equilibrio tra premier e capo dello Stato voluto dalla Costituzione, non affronta quella che è la vera emergenza istituzionale: l’abuso della decretazione d’urgenza, messo in atto dal governo, che svuota le prerogative del Parlamento”.
Critico anche il leader del M5S Giuseppe Conte, secondo cui “Per la questione dell’uomo solo al comando, per la questione ideologica, il governo vuole stravolgere l’assetto costituzionale, e sono convinto che l’elezione diretta del premier, con il premierato che non esiste e che dove è stato realizzato ha creato disastri, sia la soluzione. Il fatto che uno venga eletto garantisce stabilità? Se inizia a far disastri, dopo un mese cade in disgrazia. Per garantire questo, tra l’altro, vogliono creare un meccanismo di indebolimento del Parlamento, che è sotto ricatto, con le prerogative del capo dello Stato dimezzate. Noi possiamo sederci a un tavolo con chi propone un avventurismo del genere?”.
Unica voce fuori dal coro dei “no” con cui le forze di opposizione bocciano la bozza di riforma costituzionale del governo è Matteo Renzi che afferma: “Se Meloni porta la riforma costituzionale con l’elezione diretta del premier, noi ci siamo”.