I lavoratori precoci possono andare in pensione con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica. Da quest’anno, infatti, il requisito contributivo è ridotto di un anno e 10 mesi per gli uomini e di 10 mesi per le donne.
Per avere diritto allo sconto è necessario aver versato almeno 12 mesi di contributi, anche non consecutivi, prima di aver compiuto 19 anni d’età. Ma non è questo il solo requisito da rispettare. La nuova normativa prevede una serie di regole piuttosto restrittive.
1. QUALI PRECOCI SONO INTERESSATI DALLE NOVITÀ SULLE PENSIONI?
Innanzitutto, oltre a essere lavoratori precoci è necessario anche rientrare in una delle seguenti categorie svantaggiate:
– disoccupati che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali da almeno tre mesi;
– invalidi con una riduzione accertata della capacità lavorativa di almeno il 74 percento;
– persone che svolgono da almeno sei anni consecutivi uno dei lavori considerati usuranti (professioni infermieristiche e ostetriche; insegnanti d’asilo; badanti; facchini; addetti allo spostamento delle merci; operatori ecologici, raccoglitori e separatori di rifiuti, personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia; operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; conduttori di gru e di macchinari mobili per la perforazione delle costruzioni; autisti di camion e mezzi pesanti; conduttori di treni e personale viaggiante; conciatori di pelli e pellicce);
– persone che da almeno 6 mesi beneficiano dei permessi previsti dalla legge 104 per assistere il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap.
2. QUALE ANTICIPO È PREVISTO PER LE PENSIONI DEI PRECOCI?
Per questi soggetti, l’ultima legge di Bilancio ha ridotto a 41 anni il requisito contributivo unico. Significa che tutti i lavoratori precoci appartenenti alle categorie svantaggiate di cui al punto 2 potranno andare in pensione di anzianità con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età. La misura non prevede distinzioni di genere, di conseguenza l’anticipo massimo sarà di un anno e 10 mesi per gli uomini e di soli 10 mesi per le donne (queste ultime, infatti, beneficiavano già di un requisito contributivo unico inferiore di un anno a quello previsto per gli uomini: 41 anni e 10 mesi contro 42 anni e 10 mesi).
Tuttavia, la tanto sospirata “quota 41” sarà adeguata in futuro alle previsioni dell’Istat sulla speranza di vita. Si tratta di un aggiornamento biennale che, secondo le stime, comporterà un aumento di 4 mesi nel 2019 e di altri tre mesi nel 2021. In Parlamento si discute della possibilità di disinnescare questo meccanismo.
3. SI PUÒ LAVORARE UNA VOLTA IN PENSIONE?
I precoci che sfrutteranno il nuovo requisito per accedere alla pensione non potranno incassare redditi da lavoro (né dipendente né autonomo) durante il periodo corrispondente all’anticipo ottenuto. Esempio: se un uomo ottiene uno sconto di un anno e 10 mesi, per quello stesso intervallo di tempo non può cumulare la pensione con redditi da lavoro.
4. SI OTTIENE ANCHE LA BUONUSCITA IN ANTICIPO?
I lavoratori pubblici no. Per loro la riduzione del requisito contributivo unico non comporta un analogo anticipo del trattamento di fine rapporto (Tfr) o di fine servizio (Tfs). In altri termini, dal primo maggio i lavoratori pubblici precoci e appartenenti a una categoria svantaggiata potranno andare in pensione di anzianità con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età, ma riceveranno la buonuscita dopo un anno e 10 mesi se uomini e dopo 10 mesi se donne.
5. CHE SUCCEDE SE I SOLDI STANZIATI DALLO STATO NON BASTANO?
La quota 41 per i lavoratori precoci in condizioni di difficoltà è stata finanziata con stanziamenti precisi: 360 milioni per il 2017, 550 milioni per il 2018, 570 milioni per il 2019 e 590 milioni a partire dal 2020. Se questi soldi non basteranno, le pensioni slitteranno in avanti fino a far quadrare i conti.