L’ULTIMA FRONTIERA DEL LUSSO? IL PROSCIUTTO. E PRADA APRE LA PASTICCERIA AD HONG KONG
La rivoluzione degli ombrelli ha pesato sulle vendite delle borse di Prada in quel di Hong Kong? Niente paura. La maison milanese, che pure in occasione della trimestrale ha sottolineato che “stiamo assistendo ad un riposizionamento del mercato del lusso ancora in atto”, ha già studiato le opportune contromisure: presto nel cuore del Victoria District, cuore finanziario dell’ex colonia britannica, aprirà la “Pasticceria Marchesi”, clone del locale milanese di corso Magenta acquistato da Patrizio Bertelli e Miuccia Prada dopo aver perso sul filo di lana la battaglia con Arnault di Lvmh per il controllo di Cova, il caffè storico di via Montenapoleone.
All’epoca, poco più un anno fa, sembrava più una ripicca nell‘eterna lite con il patron di Lvmh: il redivivo Napoleone parigino della grande finanza aveva riconquistato la locanda aperta nel cuore di Milano da un ex granatiere dell’imperatore, poi nobilitata dalle riunioni lì tenute dal comando degli insorti durante le Cinque Giornate. Bertelli, per ripicca, aveva acquisito Marchesi, la vecchia pasticceria al pian terreno della casa in cui a metà dell’Ottocento viveva Giuditta Meregalli, la lavandaia milanese che aveva dato ben quattro figli al feldmaresciallo Radetzsky che Lei accudì negli anni senili.
Ma dietro ai capricci c’è un’intuizione: la nuova frontiera del lusso passa per il cibo. E il made in Italy, ancor più che nella moda, promette di farla da padrone. Anche grazie al propellente di Expo 2015. Si moltiplicano così, alla vigilia di Natale, gli incroci tra l’industria del lusso e l’Italian food. Non solo Prada, che aprirà “Pasticceria Marchesi” a Tokyo e Dubai oltre che ad Hong Kong ma anche altri nomi di grido che hanno spinto il Financial Times a parlare di “new frontier for the luxury industry”.
Renzo Rosso di Diesel ha acquistato BioNatura, una catena di cibi organici mentre Brunello Cucinelli ha allargato l’attività del “suo” borgo di Solomeo alla produzione di olio d’oliva. Campo del vino, accanto a Gaetano Marzotto (cui fa capo lo spumante Ca del Bosco), cresce l’impegno di Ferragamo (etichette “Il Borgo” e Castiglion del Bosco”) e di Sandro Veronesi, il patron di Calzedonna che ha aperto una catena di negozi con il marchio “Signorvino”.
Sono solo alcuni esempi di un trend che promette di crescere. Solo una moda o un’estensione del boom della moda? “Il trend ed i problemi sono gli stessi della moda all’inizio degli anni Ottanta a partire dalla necessità di una catena distributiva all’altezza e alla presenza sui mercati internazionali” spiega al Financial Times Diego Silva di Merrill Lynch. Non si tratta di ripercorrere la strada dei pochi colossi dell’industria alimnetare nostrana, tipo Ferrero o Barilla. Semmai di puntare alle caratteristiche dei nostri prodotti, all’insegna della biodiversità. L’Italia vanta 266 prodotti con un marchio d’origine doc, più della Francia, il rivale più vicino, che ne vanta 206.
E così si spiega come, a fianco del fenomeno Eataly, condotto per mano da Gianni Tamburi sui mercati Usa, il maggior acquisto di un private equity abbia coinvolto il food: 300 milioni di euro spesi da Charterhouse Capital Partners per l’acquisto dell’80% di Nuova Castelli, il maggior esportatore di parmigiano, mentre il Fondo Strategico ha realizzato l’ingresso in Cremonini per favorire la sua esposizione sui mercati internazionali.
“L’interesse degli operatori interazionali per i cibo italiano – è la tesi di Francesco Moccagatta di N+1 Syz, una boutique di m&A che ha curato la cessione di Pernigotti – è legata ai nuovi orientamenti dei consumi cinesi, e alla maggiore attenzione per la salute ed alla qualità della vita in Usa ed in Europa”. Senza trascurare il fatto che è assai meno costoso soddisfare la propria percezione di lusso e benessere comprando un etto di prosciutto che una borsa Prada.