Pozzallo è dopo Augusta il centro di transito più affollato per i migranti in arrivo dal Nord Africa. Nell’anno che sta per chiudere sono circa 15 mila i migranti accolti presso il Centro di Prima accoglienza del porto e subito avviati verso altre strutture siciliane. Nell´area iblea esistono al momento circa 900 posti per adulti e 200 per i minori. Un grande sforzo per un territorio che conta solo 12 comuni e una popolazione di poco più di 300 mila abitanti, ma poca cosa visti i numeri raggiunti in questi ultimi due anni dal flusso migratorio in arrivo dalle coste nordafricane. Le presenze stanziali nell´area hanno raggiunto ormai quota 24 mila, con un aumento rispetto allo scorso anno del sei per cento. Un dato, in linea con quello nazionale, che rende Ragusa una delle aree più ricercate, almeno in prima battuta per chi sceglie di emigrare.
Nel 2015 un milione e mezzo di migranti si sono messi in viaggio verso l’Europa. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, 365mila hanno attraversato il Mediterraneo, quasi 150mila sono sbarcate nei porti meridionali della penisola. Molti profughi scappano dalle guerre nel Medio Oriente e in Africa, altri dalla fame e da dittature ma tra i profughi che sbarcano in Sicilia sono in forte crescita somali, eritrei e nigeriani. Il grosso di chi sfugge agli orrori della guerra in Siria prende ormai la rotta balcanica via terra.
A Natale la situazione era piuttosto tranquilla, 128 i migranti ospiti del centro di Pozzallo ma il problema oggi ha un nome nuovo e ben preciso: hotspot. E che non sia un problema da poco lo si è visto in questi giorni. A maggio la Commissione europea ha varato nuove politiche di immigrazione tenendo a battesimo l’idea degli hotspot, nuovo punto di riferimento per i rimpatri e la ricollocazione dei migranti su base europea. Strutture allestite per identificare, registrare, fotosegnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti. In pratica centri dove concentrare la prima accoglienza e fare un primo screening per valutare se chi sbarca ha diritto alla protezione internazionale o se si tratta di migranti economici. Per questa seconda casistica scatta un sistema rapido per i rimpatri. Strutture che il Financial Times definisce “campi profughi temporanei”, in cui accogliere, e in caso di resistenza trattenere, i migranti in attesa di stabilire se siano candidabili al ricollocamento, al rimpatrio, o alla domanda di asilo nel primo Paese di ingresso.
Lampedusa, Pozzallo, Trapani avrebbero dovuto essere gli hotspot aperti già a partire dall’estate 2015, ma solo Lampedusa è partita in estate. Deve aver avuto qualche problema visto che negli ultimi mesi ha registrato ben pochi attracchi. Trapani ha iniziato la sua avventura nei giorni scorsi, Pozzallo forse nelle prossime settimane, stando ai si dice. Il 2016 dovrebbe essere la volta di Porto Empedocle, Catania, Augusta e Taranto.
L’Europa chiede con insistenza all’Italia di accelerare l’apertura degli hotspot, ma le risposte del Viminale suonano piuttosto impacciate. In Sicilia le strutture non sono adeguate, le forze dell’ordine non sono in grado di far partire il progetto che ha subito uno serie di stop visto che le ricollocazioni nei paesi d’Europa dei richiedenti asilo sono andate a rilento. A Pozzallo, la struttura che dovrebbe tramutarsi in hotspot presenta seri problemi di spazi e di attrezzature, ma in altre situazioni come a Porto Empedocle è ancora peggio: non c’è assolutamente nulla. La tensostruttura che sorge sul molo, in cui vengono ospitati i profughi al momento degli sbarchi, è stata dichiarata inagibile dai vigili del fuoco!
Bruxelles chiede un’accelerazione, e al riguardo ritiene non disdicevole l’uso della forza per la raccolta delle impronte o trattenere più a lungo i migranti che oppongono resistenza. Quindi in parole povere l’hot spot prevede la privazione della libertà personale di chi sbarca, il divieto di uscire dal centro, un interrogatorio esaustivo per distinguere tra richiedenti protezione internazionale e migranti economici. La logica è quella dei vecchi Centri di identificazione ed espulsione (Cie) con l’accoglienza che si trasforma in realtà per pochi.
Funzioni che i tradizionali centri di accoglienza hanno difficoltà ad avviare e Pozzallo non si sottrae alla regola. L’ex dogana situata a ridosso del molo dove vengono fatti sbarcare i migranti è in grado di accogliere 180 persone ma non va oltre. Lo spazio è ristretto, per le identificazioni c’è una stanzetta, la funzionalità dei locali e dei servizi è sempre precaria, nonostante i frequenti e recenti lavori di ristrutturazione e servirebbero altri spazi che difficilmente la Dogana permetterà di utilizzare. Ma anche lo permettesse, progetto di ristrutturazione, bando di gara, aggiudicazione e lavori porterebbero via diversi mesi. Per non parlare dello spinoso problema di chi dovrebbe mettere a disposizione i denari necessari. E proprio perché ritiene del tutto inadeguato il centro di Pozzallo, Medici senza Frontiere ha annunciato a sorpresa che a partire dal primo gennaio 2016 se ne va da Pozzallo.
Dove era approdata due anni fa, e da quasi un anno era attiva presso il centro di prima accoglienza e aveva un importante progetto di supporto psicologico nei centri di assistenza straordinaria nella provincia di Ragusa. Una presenza importante quello di Msf che si avvaleva di un team a rotazione di 15 operatori (medici, infermieri, psicologi e operatori culturali) e che colmava la numerose lacune della struttura pubblica. Da mesi Msf denunciava che a Pozzallo le condizioni per l’accoglienza fossero sotto gli standard minimi (promiscuità, spazi non idonei, servizi inadeguati e senza porte, difficoltà anche per i trattamenti immediati come l’antiscabbia, per citare le accuse più appariscenti). In una parola manca un modello di accoglienza, a Pozzallo come o più che altrove, e le istituzioni tutte fanno orecchie da mercante.
E se non si è in grado di far funzionare in modo dignitoso un centro di accoglienza, a maggior ragione chissa cosa può succedere con un hotspot. La nuova procedura prevede il rafforzamento delle operazioni di identificazione tramite l’affiancamento di funzionari dell’Unione Europea accanto alle forze di polizia, nuove strutture, spazi per trattenere chi non fornisce le generalità o in attesa di rimpatrio o di espulsione, difficile poter fare tutto in 600 metri quadri, già adibiti a dormitorio e centro di accoglienza. Oltretutto secondo il Viminale sui 144 mila stranieri sbarcati nel 2015, quarantamila hanno rifiutato di sottoporsi alle procedure, soprattutto siriani ed eritrei che vogliono richiedere asilo in altri paesi. E di questi molti hanno fatto perdere le loro tracce, lasciando notte tempo o fuggendo da centri come di accoglienza e iniziando un lungo cammino della speranza destinato a portarli presso amici e congiunti domiciliati in altri paesi europei.
Altri non sono andati così lontano. Ragusa ad esempio non sarà un Eldorado per i residenti ma è pur sempre una terra di opportunità per chi arriva da lontano. Nel ragusano risiede il 14 per cento della popolazione straniera in Sicilia, anche se il saldo complessivo è negativo quasi un decimo della popolazione residente opta infatti per l´emigrazione. Due flussi paralleli che non si toccano: da un lato c´è l’aspirazione a trovare nuove e migliori opportunità di lavoro da parte di chi decide di partire, dall´altro c´è chi è disposto a lavorare in ambiti non proprio premianti, a partire dalle occupazioni in campagna o nelle serre, e comunque di livello medio basso.
Negli Iblei i tunisini sono il nucleo straniero più consistente, 7.350, seguito dai rumeni, quasi 7 mila, poi albanesi poco più di 3 mila. Poco rappresentativi i cinesi che operano soprattutto nel campo commerciale mentre le nazionalità dell´est europeo, polacchi in testa ma di sesso femminile, lavorano come badanti. E´ il triangolo agricolo che occupa la stragrande maggioranza dei nordafricani e albanesi, e alcuni sono arrivati anche ad essere piccoli proprietari.