Alle elezioni parlamentari del Portogallo, nonostante un’astensione record che ha sfiorato il 50%, il Partito Socialista ha vinto con il 36,7% dei voti, pari a 95 seggi su 230, seguito dal Partito socialdemocratico (che, a dispetto del nome, è di centrodestra) al 28,1%, pari a 70 seggi. Terzo il Blocco di sinistra con il 9,6% dei voti (16 seggi). Fuori dal podio la Coalizione di sinistra al 6,3% (9), i Popolari di destra al 4,2% (4 deputati) e gli ambientalisti di Pan al 3,3% (2 seggi).
I socialisti di Antonio Costa sfiorano ma non ottengono la maggioranza assoluta in Parlamento. Tuttavia, insieme ai partiti alleati, il PS potrebbe avere i due terzi dei seggi necessari per approvare delle riforme costituzionali.
Gli elettori hanno comunque voluto premiare il governo che dal 2015 ha saputo risollevare l’economia del Paese, modernizzando il sistema produttivo e differenziando i mercati di sbocco delle esportazioni.
Dopo la grave recessione e il prestito per il salvataggio da 78 miliardi di euro chiesto nel 2011 a Fondo Monetario Internazionale e Unione europea, ripagato con misure lacrime e sangue negli anni successivi, la crescita è passata dallo 0,19% del 2014 al 2,1% del 2018. Al contempo, il tasso di disoccupazione si è dimezzato a circa il 6%.
Questi numeri hanno garantito un grande prestigio in quel di Bruxel a Costa e al suo ministro dell’Economia, oggi presidente dell’Eurogruppo, Mario Centeno.
Peraltro, i socialisti portoghesi, in controtendenza rispetto a tutti gli altri Paesi europei, hanno vinto in un panorama in cui sono del tutto assenti forze populiste ed euroscettiche.
Non solo: Costa ha addirittura promesso di rendere l’immigrazione in Portogallo più facile, abolendo un sistema di quote introdotto dal centrodestra, per far fronte al basso tasso di natalità che minaccia il finanziamento dello Stato sociale. Secondo l’Ue, infatti, nei prossimi decenni la popolazione portoghese scenderà a 6,6 milioni di persone, rispetto agli attuali 10,3.