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Porti, Zeno D’Agostino, neo-presidente dell’European Sea Port Organisation: “La Cina è meno vicina”

Zeno d'Agostino, presidente d'Autorità presidente porti di Trieste e presidente dell’Espo

Dopo diciotto anni l’Italia torna a guidare, grazie a Zeno D’Agostino, il massimo organismo di rappresentanza dei porti dell’Unione Europea. Porti che negli anni si sono trasformati da luoghi di solo “carico/scarico/trasporto” a hub multiservizi comprendenti stoccaggio, logistica e manifattura, ma soprattutto hanno acquisito una grande importanza geopolitica e strategica.
E’ ancora vivo il ricordo dei colli di bottiglia delle materie prime ai tempi della pandemia. Così come ha destato qualche timore la notizia della presenza di un’azienda di stato cinese nel porto di Amburgo, (a sua volta legato a quello di Trieste) visto che le ultime vicende belliche ci hanno mostrato le conseguenze della dipendenza dalla Russia.

Zeno D’Agostino, veronese, dal 2015 presidente dell’autorità portuale di Trieste e capo dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale con la nuova nomina, ottenuta all’unanimità dai 23 paesi dell’Unione europea, ha la responsabilità di far emergere il ruolo della portualità europea sia per gli equilibri economici, sia geopolitici su scala continentale e globale. Inoltre, sebbene D’Agostino fosse Vicepresidente della stessa associazione da due anni, la presenza di un italiano alla guida potrebbe indicare una maggiore attenzione per i porti del sud.

Presidente D’Agostino, si è parlato a lungo recentemente della presenza di aziende di stato cinesi in porti strategici italiani ed europei, a iniziare dal porto di Amburgo che tra l’altro controlla un terminal nel porto di Trieste. Alcuni intravedono una preoccupazione. E’ giustificata ?

Occorre fare chiarezza: si è parlato in modo distorto di presenza cinese, facendo confusione tra una presenza societaria e la presenza di agenzie marittime che rappresentano un armatore.
La presenza cinese nei porti strategici è limitata e si sta persino ridimensionando, visto che le catene logistiche hanno iniziato ad accorciarsi negli ultimi mesi. Il caso di Amburgo ha fatto scalpore, ma, opportunamente, il governo tedesco ha ridotto la presenza di Cosco in uno dei 4 terminal al 24,9 % dal 35% originario, proprio per non darle facoltà di intervenire nella gestione.


E poi c’è il porto interno di Duisburg, il più importante porto fluviale europeo nel cuore della Ruhr, accessibile anche a navi marittime provenienti dal Mare del Nord: anche in questo caso c’erano preoccupazioni per una presenza cinese.

Il porto di Duisburg è una delle maggior infrastrutture intermodali al mondo, al quale arrivano anche i treni dalla Cina. I cinesi avevano il 20% di uno dei terminal, ma lo hanno appena venduto e se ne sono andati via.

Si indicano anche porti italiani in mano ai cinesi. Quali lo sono davvero ?

Solo il porto di Vado Ligure, in provincia di Savona: i cinesi tramite due società distinte posseggono il 49%, mentre il restante 51% è in mano danese. Cosco aveva anche il 48 % del porto di Napoli, ma anche in questo caso ha venduto. Negli altri casi si tratta solo di presenze di agenzie marittime che rappresentano gli armatori.

Certamente il tema dell’indipendenza da altri stati è molto vivo, dopo che si è tastato con mano che cosa significa dipendere dalla Russia. Che cosa si può fare per mettere al sicuro i porti italiani?

Certamente una cosa importante sarebbe quella di far cadere in Italia il tabù della partecipazione pubblica alle concessioni portuali, unica situazione nell’unione europea: la presenza dello stato nelle concessioni (che era stata tolta nel 1994, in un contesto decisamente diverso), aiuterebbe a equilibrare le forze e mettere al riparo da ingerenze non gradite, visto che ora i porti hanno un ruolo geopolitico,

L’Italia dispone di 57 porti di rilevanza nazionale raggruppati in 16 autorità di Sistema, per un’estensione costiera di quasi ottomila chilometri. Come si collocano i porti italiani nel quadro europeo ?

L’Italia è al secondo posto in Europa se si considerano le classifiche che parlano di tonnellate. Ma negli ultimi 2-3 anni, anche in relazione alla pandemia, c’è stata un’evoluzione e ora i porti vengono valutati in base alle attività di sistema, che comprendono lo stoccaggio, le attività logistiche e quelle manifatturiere. Oltre a tutte le infrastrutture viarie e ferroviarie del territorio. Ma anche in questo caso l’Italia è ben posizionata in Europa: i porti di La Spezia, Trieste, di Genova e di Gioia Tauro che sono nelle top ten europee.

L’Italia ha qualche caratteristica peculiare rispetto ad altri paesi europei?
I porti italiani sono gli unici in tutta Europa ad avere avuto finanziamenti per le banchine elettrificate: ciò significa che le navi una volta arrivate in porto potranno spegnere i motori, limitando quindi l’inquinamento, e potranno collegarsi alla rete elettrica del porto. Si sono ottenuti 700 milioni di fondi in ambito Pnrr e questa ora è una skill italiana unica in Europa, molto apprezzata.

Dopo due anni alla vicepresidenza, ora lei è stato nominato all’unanimità presidente dell’Espo, un istituto europeo nato nel 1993 cruciale per i porti. Secondo l’Associazione, attraverso i porti marittimi europei transitano ogni anno circa 3,3 miliardi di tonnellate di merci e circa 400 milioni di passeggeri. Quali saranno i temi che più urgentemente vorrà portare in Europa?

Il tema cardine è l’innovazione e i capitoli sono molti: dalla transizione energetica, al cambio di governance necessario per i porti di domani, dalla gestione delle risorse umane e del conflitto sociale, fino alla digitalizzazione. Specie in momenti di crisi come questo dove siamo sollecitati da continui shock, ESPO può giocare un ruolo chiave di portavoce naturale delle istanze dei porti d’Europa a Bruxelles e delle possibili soluzioni alle sfide del futuro.
In particolare a livello europeo c’è da rilevare una differente situazione tra porti dei mari del nord e quelli del sud. Occorre riequilibrare queste situazioni.

È la seconda volta che un italiano viene nominato a capo dell’organizzazione, dopo l’elezione nel 2004 di Giuliano Gallanti, storico presidente che aveva guidato i porti di Genova e Livorno. E in quale modo vorrà far sentire la voce dell’Italia?
Da una parte, come dicevo, si dovranno riequilibrare le normative tra porti del nord e del sub.
In particolare per l’Italia poi, occorrerebbe riflettere sulla questione della fiscalità delle autorità portuali e in particolare sulla decisione della Commissione Ue che considera aiuti di Stato gli attivi di bilancio delle Autorità di sistema portuale italiane

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