Tre notizie hanno risvegliato il dibattito sul cosiddetto “polo delle torri”, un tema di grande interesse in tutto il perimetro broadcast e Tlc nazionale ed europeo. La prima ha riguardato il recente accordo di Cellnex per l’acquisizione di oltre 10 mila torri in Francia, Italia, e Svizzera. Si tratta di un affare di circa 1,4 miliardi e che ha visto interessare anzitutto il gruppo Iliad (oltre 5700 torri in Francia e oltre 2000 in Italia) e poi l’operatore svizzero Salt (per l’acquisto del 90% della proprietà e circa 700 torri). La seconda notizia che sta passando pressoché inosservata, nonostante l’impatto significativo, si riferisce al fatto che dal prossimo 3 giugno la televisione pubblica Svizzera non trasmetterà più sul digitale terrestre (DVB-T) e verranno quindi spente le oltre 200 antenne e dismesse le relative torri.
Infine, la terza notizia riguarda la pubblicazione di un report firmato da EY e European Wireless Infrastructure Association (EWIA) dove si sostiene, in sintesi, che i processi di aggregazione dei fornitori di infrastrutture wireless in Europa possono dare vita ad un fiorente mercato M&A. Queste dinamiche, secondo il report, potrebbero liberare risorse stimate in circa 28 miliardi di euro nei prossimi dieci anni, che gli operatori possono reinvestire nell’efficienza delle reti al fine di migliorare la copertura sul territorio e dare impulso allo sviluppo del 5G.
Dopo quattro anni dalla quotazione in Borsa di Rai Way e il recente delisting di Ei Towers, comincia a farsi leggermente più chiaro il quadro su quello che vorrebbe essere un grande progetto di politica industriale a tutto beneficio del sistema Paese. Anzitutto, è evidente che sarà necessario distinguere due distinti “poli” di torri. Da un lato quelle interessate alla diffusione dei segnali radiotelevisivi (broadcast) e da un altro quelle riferite alla diffusione della rete wireless (broadband). Sugli stessi tralicci possono anche coesistere antenne con finalità diverse e quindi la “torre” può anche essere la stessa. Cambia radicalmente l’approccio, e quindi i costi, relativi alla gestione e alla manutenzione. Inoltre, le cosiddette “torri di alta quota” destinate prevalentemente al broadcasting, per quanto abbiamo scritto più volte, sono destinate ad un lento e inesorabile declino tecnologico.
Lo avevamo scritto su queste pagine già alcuni anni addietro: il tema delle torri di trasmissione è seguito con attenzione da Firstonline da diverso tempo (il primo articolo è comparso nel febbraio 2017) cercando di capire le dinamiche e le prospettive di un settore di grande interesse per l’economia nazionale. Il titolo di allora era “Tv, è iniziata la fine del digitale terrestre. Ecco i nuovi scenari anche per le torri”. Non era difficile immaginare quale futuro si stava disegnando a seguito sia dell’applicazione delle direttive comunitarie sulla riallocazione delle frequenze intorno ai 700 Mhz sia della diffusione di nuovi modelli di produzione e distribuzione di prodotti audiovisivi sempre più fruibili su piattaforme diverse dall’etere tradizionale.
Per il prossimo settembre è prevista la World Radiocommunication Conference 2019 (WRC-19) dove verrà tracciata l’agenda per la successiva conferenza del 2023 per la successiva e progressiva dismissione delle frequenze utilizzate dal digitale terrestre. Si stima che i tempi di smantellamento delle torri broadcast potrebbero essere intorno ai 10 anni, periodo che almeno da un punto di vista finanziario, viene considerato sufficientemente lungo per garantire ricavi consistenti a fronte di investimenti relativamente bassi.
Tutt’altro segno invece per quanto le torri broadband che proprio in virtù di un prossimo e veloce processo di sviluppo del 5G e al complesso del mercato digitale saranno sempre più preziose e, in tale contesto, ha un senso industriale parlare ancora di “polo delle torri” seppure coniugate con la rete a banda larga di prossima generazione. Si tratta quindi di un processo di aggregazione e concentrazione che consente efficienza di sistema, riduzione dei costi e maggiore copertura del territorio. Da questo punto di vista, il report citato ha buon gioco nel sostenere che il “polo delle torri “ è utile e conveniente.
Al contrario invece, a quanto sembra, per le torri broadcast che, nonostante ogni tanto si leggono generiche dichiarazioni di interesse, in realtà non sembrano interessare più di tanto. Per dirla tutta, ci potrebbe e ci dovrebbe essere attenzione in tal senso: quale logica infatti si evidenzia in un sistema ridondante, costoso e inefficiente come quello attuale che vede una rete duplicata e frammentata? Mediaset, oltre che per fare cassa, ha avuto buon senso a dismettere dai suoi asset Ei Towers (ora nella galassia F2I) e rendere possibile la nascita del “primo operatore indipendente italiano di torri di telecomunicazione”.
Anche per Rai ci potrebbe, e forse ci dovrebbe, essere convenienza a valutare altre prospettive per la propria quotata Rai Way con due ipotesi: la prima con una corretta analisi dei costi (attualmente paga oltre 180 mln di Euro l’anno) e ponderare la possibilità di rivolgersi al mercato, per ipotesi non tanto estrema, alla stessa F2I (la legge lo consente, non obbliga Rai a servirsi di Via Teulada) dove potrebbe conseguire consistenti risparmi. Altra strada, nelle condizioni date, rispetto ad una accurata valutazione dei costi benefici, riferita anzitutto ai ricavi correnti, di seguire lo stessa strada di Mediaset e ipotizzare anch’essa un delisting della quotata.
Da oggi in poi, quando si parla di “polo delle torri” sarà necessario distinguere attentamente a quali torri ci si riferisce. Sono due mondi vicini, ma parlano lingue diverse.
Simpatico l’autore dell’articolo che propone a Rai di abbandonare al suo destino Rai Way…