Dopo la visionaria sregolatezza di Warhol, approdano a Roma, gli “Irascibili” della Scuola di New York, quel gruppo di artisti dell’Action Painter che nel 1950 rivoluzionarono il mondo dell’arte americana irrompendo sulla scena culturale con la loro dirompente e dissacrante carica di anticonformismo. Una vera e propria rivolta che divise il mondo artistico americano al punto che il Metropolitan Museum di New York, con scarsa preveggenza sul futuro dell’arte, arrivò ad escluderli da un’importante mostra di arte contemporanea suscitando grand
Eccoli dunque in mostra fino al 24 febbraio all’Ala Brasini del Vittoriano, con Jackson Pollock in testa, il fondatore dell’Action Painting, superstar della pittura americana di quegli anni al quale la rivista “Life”, già nel 1949, aveva dedicato un lungo servizio nelle pagine centrali chiedendosi se fosse lui il più importante artista americano vivente. E con Pollock di cui viene esposto per la prima volta il celebre Number 27, la grande tela lunga oltre 3 metri straordinaria sintesi dell’espressionismo astratto fra le pennellate di nero e la fusione di colori chiari, che da sola giustifica una visita alla Mostra del Vittoriano, figurano in esposizione 50 capolavori di Mark Rothko, Willem de Kooning, Franz Kline, William Baziotes, David Smith, Lenore Krasner, musa e compagna di Pollock costretta a cambiare il nome di battesimo in Lee (sembra incredibile negli anni ’50 ma è così) per ovviare alle discriminazioni di genere radicate nel sistema dell’arte e figurare come un pittore maschio, ed altri, che offrono uno sguardo complessivo sul clima di quegli anni in cui la Scuola di New York impose al mondo l’espressionismo astratto come segno indelebile della cultura pop moderna, connubio tra espressività della forma e astrattismo stilistico, che influenzarono sensibilmente tutti gli anni 50’.
Action painting è dunque innovazione, trasformazione, rottura dagli schemi e dal passato. La mostra che si propone di far scoprire al pubblico non solo il fascino di tale movimento attraverso l’arte ma soprattutto di far rivivere emozioni e sentimenti propri di quegli artisti che hanno reso unica un’era della storia dell’arte si basa su uno dei nuclei più importanti della collezione del Whitney Museum di New York. Un museo che ha svolto una funzione determinante nella storia dell’arte moderna americana. Lo fondò nel 1931, quindi subito dopo la grande depressione del ’29, Gertrude Vanderblit Whitney (1875-1942), mecenate, ricca ereditiera e collezionista, con il proposito di sostenere artisti americani viventi e non ancora consacrati dalla critica e dal mercato. Istituzione fondamentale per l’affermarsi di una nuova sensibilità contemporanea, differente dal modello del MoMA, ancora eurocentrico e attratto dai maestri delle avanguardie storiche. E dal 1955 il Whitney Museum rafforzò ancor di più la politica di acquisizione, proprio per rispondere alla mancata fusione con il Metropolitan, di cui avrebbe dovuto essere un’ala dedicata alla nuova arte americana.
I critici lo definirono un “contenitore vuoto”, ma in realtà la Scuola di New York vi trovò un momento di coesione in cui gli artisti discutevano,
parlavano, scrivevano, si radunavano e andavano insiem
Frank Pearls Gallery di Beverly Hills a Los Angeles, a sottolineare la forza catalizzatrice di Manhattan all’inizio degli anni Cinquanta.
L’episodio più significativo che ha prodotto quell’immagine diventata vero e proprio simbolo dell’arte americana, è la fotografia di Nina Leen apparsa nel gennaio 1951 su “Life” ed esposta su un maxipannello al Vittoriano: quindici artisti, Hedda Sterne è l’unica donna, “vestiti da banchieri”, messi in posa per mostrare la loro forza e la loro coesione contro il Metropolitan Museum che non ha incluso gli Espressionisti Astratti nella mostra sull’arte americana contemporanea. Un modo alquanto singolare di contestare la decisione, anticipato dalla lettera pubblicata sul “New York Times” nel maggio 1950 che raccoglie
diciotto firme. Lo scatto identifica dunque gli Irascibili, nonostante la forma così civile sottolineata dagli abiti formali, ove i protagonisti (Pollock al centro, Newman, Rothko, Motherwell, De Kooning) sono insieme ai comprimari. L’aspetto è bonario eppure sono tecnicamente arrabbiati per questa condizione appartata, che pure li mette in una situazione piuttosto tipica ai tempi dell’avanguardia: fare fronte comune, lavorare insieme, condividere successi e difficoltà in maniera compatta. Dal Greenwich Village, il quartiere in cui si radunano, si alza così una voce forte sul difficile rapporto tra artisti e istituzioni, anche se siamo in America, il Paese del nuovo. Paese in cui il cambiamento, per non dire la spaccatura generazionale, è in atto e non si fermerà più per tanto tempo, a partire proprio dal 1950, l’anno degli Irascibili, appunto. E da Pittsburgh, Andy
Warhol si è trasferito stabilmente sotto l’Empire State Building, lavora come illustratore e vetrinista in attesa di mettere a punto la strategia che lo porterà a diventare l’artista più importante del decennio successivo.