La riforma del Patto di Stabilità è sostanzialmente fatta, sul testo preparato dalla Commissione Europea sarà possibile limare solo qualche dettaglio nelle prossime settimane, ma la convergenza sull’impianto strutturale – che ha visto un ruolo centrale del Commissario Europeo Paolo Gentiloni – è stata sostanzialmente stabilita. La riforma, come detto da più parti, non deve spaventare l’Italia perché si inserisce in un percorso di normalizzazione delle politiche economiche europee che, di fatto, erano state solo temporaneamente congelate per superare la crisi pandemica. Il nuovo Patto di Stabilità arriva comunque in una fase complicata, con un orizzonte di tassi di interesse sicuramente più elevati rispetto al recente passato, destinato a mettere sotto pressione soprattutto i bond sovrani dei Paesi più indebitati. Passata la fase di eccezionalità, per l’Italia si avvia dunque una fase di politica europea in cui si dovrà tornare a condividere strettamente con Bruxelles le strategie di stabilizzazione degli indici di finanza pubblica. «Le proposte legislative della Commissione sono in linea con il documento dello scorso Novembre e cercano di conciliare le differenti posizioni dei vari Stati membri. Semplificano le regole pre esistenti e introducono un orizzonte temporale di 4 anni (o addirittura 7 anni) che dà uno spazio di manovra sostanziale alle politiche dei governi nazionali», osserva l’economista Cinzia Alcidi, direttore della struttura di ricerca del CEPS, il Centre for European Policy Studies, uno dei più influenti think tank di Bruxelles.
La Germania ha ripreso le leve del comando politico in tema di conti pubblici. Non è evidentemente una novità, ma cosa significa per l’economia europea?
«Posizioni divergenti sulle regole fiscali non sono nuove. Nonostante le dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner, la posizione della Germania è meno rigida rispetto a quella di dieci anni fa. Nel breve termine, significa che molto probabilmente le proposte di natura finanziaria non passeranno in prima battuta, ma serviranno negoziazioni e mediazioni».
Cosa potrebbe spingere però la Germania ad aumentare la conflittualità con l’Italia in tema di economia?
«Credo sia errato interpretare le dichiarazioni di Lindner come un tentativo di entrare in conflitto con l’Italia. È un fatto che con le nuove regole i governi nazionali hanno molta più libertà di azione. Allo stesso tempo, l’evidenza del passato ci ricorda che il rispetto dei vincoli di bilancio non è il nostro forte. Una considerazione che comunque vale anche per altri Stati europei, non solo per l’Italia. La Germania vuole evitare che politiche troppo espansive possano condurre a tensioni sui mercati finanziari e di conseguenza mettere in pericolo tutta l’Unione. Il ricordo delle crisi greca è ancora fresco».
L’economia globale subisce sempre più frequentemente violenti shock inattesi. L’aggiornamento del Patto di Stabilità tiene in considerazione anche possibili scenari avversi ravvicinati nel tempo?
«Un debito pubblico estremamente elevato, in termini relativi e assoluti, è da sempre una fonte di grande vulnerabilità economica. Il problema non sono le regole di bilancio ma chi finanzierà il debito. È un errore grave concentrare capitale politico per dibattere sulle regole al solo scopo di guadagnare piccoli spazi di manovra, quando in realtà i veri problemi sono altrove».
Cosa succede se nei prossimi mesi la politica monetaria dovesse portare l’economia europea fino alla soglia della recessione?
«I dati di marzo sull’inflazione sono incoraggianti, ma non è affatto chiaro che l’inflazione sia sotto controllo. È probabile che i tassi continuino ad aumentare. In questo momento nell’economia italiana c’è abbondanza di liquidità, il problema non è la politica monetaria ma come vengono usati i soldi. Tra i fondi del PNRR e la politica fiscale espansiva, il deficit è al 4.5%. In buona sostanza: lo stimolo pubblico è sostanziale, ma si deve tradurre in crescita».
Il debito italiano ha superato per l’ennesima volta il suo massimo storico (2.772 miliardi di euro). Tensioni europee sulla gestione dei conti pubblici rischiano di riportare l’Italia nel mirino dei mercati internazionali?
«Il problema non è la possibile conflittualità europea, ma il debito pubblico. Dovremmo mettere a fattor comune tutte le energie del Paese per concentrare gli sforzi sulla crescita e non fomentare dibattiti inutili che hanno il solo obiettivo di distogliere l’attenzione da quello che bisogna davvero fare».
Le previsioni sul Pil italiano, già nel 2024-25, si prefigurano più negative rispetto al resto dell’Unione. E se il PNRR dovesse trasformarsi davvero in un flop?
«Questo è un punto cruciale. La posta in gioco del PNRR è molto elevata per l’Italia. Il successo del piano contribuirebbe a stabilizzare il debito (relativamente al PIL) e ci darebbe maggiore credibilità nelle trattative con i partner europei e anche rispetto ai mercati finanziari».
Quale sarà invece la posizione della Francia rispetto alla nuova agenda finanziaria europea?
«La Francia non è mai stata troppo attaccata alle regole fiscali. Ogni Paese ha una visione sulle regole europee dettata puramente dalla propria situazione nazionale. In prospettiva sarà comunque sempre più difficile trovare soluzioni in grado di accontentare tutti».
In ogni caso il governo italiano ha assunto finora posizioni concilianti con l’Unione, ad eccezione di qualche battibecco con Francoforte sul rialzo dei tassi. Una rigidità di approccio rispetto alla “specificità” della nostra economia, potrebbe riattivare un muro contro muro tra Bruxelles e Roma?
«La posizione conciliante dell’Italia viene dal fatto che ci sono 200 miliardi dell’Unione Europea a fondo perduto sul tavolo. Direi che si tratta di una posizione molto pragmatica. Sarebbe davvero controproducente andare a cercare conflitti».