Il Pnrr non sembra essere al centro della campagna elettorale che si è appena aperta. Eppure, è proprio da questo piano che dipende buona parte de rilancio dell’economi su cui l’Italia spera per i prossimi anni. Fin qui, tra prefinanziamento e prima rata, il nostro Paese ha incassato 45,9 miliardi. Altri 21 arriveranno per i traguardi raggiunti dal governo Draghi entro giugno. Ne rimangono in gioco 124,6, di cui 19 sono previsti con la terza rata, che dovrebbe arrivare all’inizio dell’anno prossimo se l’Italia centrerà i 55 obiettivi previsti dal Pnrr per il secondo semestre del 2022.
Pnrr: i principali obiettivi del secondo semestre 2022
La lista comprende di tutto: progetti che vanno dalle infrastrutture digitali (come il completamento del Polo strategico nazionale, per gestire in cloud i dati più critici delle Pa centrali) al turismo, dalla sanità (la riforma degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) all’istruzione (la riforma degli Its, quella dell’orientamento, i nuovi alloggi per gli universitari), dal contrasto del lavoro nero e dell’evasione fiscale all’assunzione di personale giudiziario e dell’Agenzia nazionale per la cybersicurezza, passando per le gare di appalto per costruire nuove linee ferroviarie ad alta velocità. Vista la situazione politica, l’Italia potrebbe non riuscire a occuparsi di tutti questi dossier nei prossimi mesi.
È vero che le regole del piano prevedono deroghe in caso di eventi eccezionali, come appunto le elezioni anticipate, ma è anche vero che il nuovo governo, quando si insedierà, dovrà scrivere in poco tempo la legge di bilancio 2023 e quindi potrebbe avere difficoltà a concentrarsi sui 55 obiettivi. Anche un’eventuale deroga, quindi, rischia di non bastare.
Il problema dei progetti già avviati
Uno stop ai fondi del Pnrr sarebbe disastroso per il nostro Paese soprattutto perché a quelle risorse sono legati diversi progetti già avviati, che non si potrebbero cancellare dall’oggi al domani, ma andrebbero finanziati con altri soldi. L’aggravio finanziario sarebbe notevole: i prestiti in arrivo da Bruxelles andrebbero sostituiti con nuove linee di credito che avrebbero interessi decisamente più alti; sui trasferimenti a fondo perduto, invece, i costi extra riguarderebbero l’intero capitale impegnato, che – secondo calcoli del Sole 24 Ore – in questo momento per le misure già avviate ammonta a 20,8 miliardi. Tra questi, 10 miliardi serviranno per Ecobonus e Sismabonus, tre miliardi abbondanti per l’edilizia scolastica e 1,6 miliardi per asili nido e scuole dell’infanzia.
La governance bloccata
In verità, per evitare che l’incubo dello stop al Pnrr si avveri, alcune precauzioni sono già state prese. La governance delle strutture amministrative che gestiscono il piano, ad esempio, non subirà alcuna modifica nonostante le elezioni in arrivo. La piramide di comando parte dalla Segreteria tecnica a Palazzo Chigi e dal Servizio centrale alla Ragioneria generale dello Stato, per poi allargarsi nelle unità di missione create nei ministeri. Queste strutture sono sottratte al cosiddetto “spoils system”, ovvero alla spartizione periodica degli incarichi fra i partiti a seconda degli equilibri parlamentari.