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Pmi: un milione di posti a rischio nel 2020

Foto di StartupStockPhotos da Pixabay

In tutto il 2020, il Covid rischia di far saltare un milione di posti di lavoro nelle piccole e medie imprese italiane, per una contrazione dell’organico pari al 10%. E non parliamo di collaboratori, ma di dipendenti. A lanciare l’allarme è l’indagine “Crisi, emergenza sanitaria e lavoro nelle Pmi”, realizzata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro tra fine settembre e metà ottobre sugli iscritti all’Ordine che, dall’inizio dell’emergenza sanitaria, hanno accompagnato le imprese nella gestione della crisi.

Lo studio sottolinea che l’adeguamento alle norme di sicurezza per fronteggiare l’emergenza Covid-19 ha rappresentato uno sforzo importante per tante piccole e medie imprese, che hanno dovuto riorganizzare spazi, logistica, procedure e lavoro. E ora la nuova impennata di contagi ha portato nuove difficoltà.

In particolare, il 59% dei consulenti ritiene che oggi le aziende siano attrezzate in materia di prevenzione (dispositivi di protezione come mascherine e guanti, sanificazione degli ambienti, distanziamento sociale). Tuttavia, quasi nessuna impresa sarebbe in grado di sopportare le conseguenze di una nuova emergenza. Il 44,7% degli intervistati dichiara infatti che le Pmi sono mediamente poco o per nulla attrezzate a gestire il personale in caso di contagi (diretti o indiretti).

Oltre alla pandemia in sé, al primo posto nella classifica delle preoccupazioni c’è la necessità di dover nuovamente fare i conti con le procedure per la cassa integrazione (indicata come principale criticità da affrontare nelle prossime settimane dal 62,8% dei consulenti). Seguono l’avvio delle ristrutturazioni aziendali (42,8%) e la riduzione dei livelli di produttività (42,2%). Al quarto posto c’è la gestione delle esigenze del personale, alle prese con conciliazione e quarantene, e la sua riorganizzazione.

Su quest’ultimo fronte non sembra affatto risolutivo il ricorso allo smart working. Anzi, per il 56,9% dei Consulenti le imprese fanno di tutto per tenere i lavoratori in sede, al punto che, in media, 8 su 10 erano già tornati in ufficio a fine settembre.

“L’indagine ci consegna uno scenario che impone una riflessione ampia su come evitare il peggio, ovvero la chiusura di quelle aziende che grazie agli interventi della primavera hanno cercato di resistere – commenta la presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone – Ci sono buone ragioni per pensare che le imprese torneranno ai livelli di fatturato pre-Covid non prima di due anni. Resta tuttavia il tema di come affrontare un 2021 che, si spera, sia di transizione”.

Intanto, dall’Inps fanno sapere che le assunzioni attivate da tutti i datori di lavoro privati nei primi sette mesi del 2020 sono state 2 milioni e 919mila, il 38% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. La contrazione, particolarmente grave ad aprile (-83%), si è progressivamente attenuata fino a luglio (-20%). La frana ha coinvolto tutti i tipi di contratto, ma è stata più accentuata per i rapporti di lavoro a termine (intermittenti, somministrati, a tempo determinato).

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