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Più Stato ma niente sovranismo: la “nuova normalità” secondo Cipolletta

“Abbiamo bisogno di rivalutare il ruolo dello Stato pur conservando tutte le caratteristiche di una democrazia che si basa sull’economia di mercato” : è quanto sostiene Innocenzo Cipolletta nel suo nuovo libro “La nuova nornalità”, edito da Laterza

Più Stato ma niente sovranismo: la “nuova normalità” secondo Cipolletta

“Abbiamo bisogno di rivalutare il ruolo dello Stato pur conservando tutte le caratteristiche di una democrazia che si basa sull’economia di mercato, secondo principi di stampo liberale”. Questo è il perno intorno al quale ruota la ricetta per un futuro migliore contenuta nel nuovo libro di Innocenzo Cipolletta “La nuova normalità“ appena uscito presso gli Editori Laterza.

Cipolletta è un economista, ma anche un manager con numerose esperienze di guida di aziende private e pubbliche, che non si accontenta del sentire comune, ma cerca sempre nuove strade per uscire dalla banalità delle ricette ideologiche e non basate sull’osservazione attenta e senza paraocchi della realtà. In questo suo ultimo lavoro c’è lo sforzo di sistemare tutti gli aspetti di una ricetta complessiva che consentirebbe al mondo di gestire con accortezza le incertezze che nascono da eventi imprevedibili, ma di tale portata la sconvolgere la vita della gente e gli assetti economici e sociali preesistenti.

La pandemia del COVID-19 è solo l’ultimo di questi eventi critici che hanno cambiato quella che sembrava essere la tranquilla traiettoria di marcia dell’umanità. Solo negli ultimi vent’anni, ad esempio c’è stata la crisi dovuta all’abbattimento delle torri gemelle di New York, la crisi finanziaria del 2008-2009, e poi quella dei debiti sovrani insieme alle guerre in Oriente lontano e vicino, per finire con la mazzata della crisi sanitaria che ha sconvolto la vita di milioni di persone provocando una caduta del reddito di una cifra analoga, se non superiore,  a quella di una guerra. Un susseguirsi così ravvicinato di eventi di portata eccezionale provoca naturalmente nei cittadini incertezza e paura e quindi una richiesta di rassicurazione all’autorità che, nonostante gli acciacchi, rimane quella statale, più vicina e dotata degli strumenti necessari per intervenire.

Di qui il primo rischio: quello di barattare una maggiore sicurezza (più presunta che reale) con una diminuzione del tasso di democrazia, insomma con l’accettazione di regimi autoritari se non proprio dittatoriali.  Del resto l’idea che le democrazie non siano abbastanza efficienti e rapide per affrontare un susseguirsi di crisi come quelle che stanno colpendo il mondo intero a ritmo incalzante, non è nuova, anzi è una costante di ogni epoca. Negli anni 30 del secolo scorso, ad esempio, come riporta Paolo Mieli nel suo nuovo libro “Fascismo”, Lord Arthur Ponsonby leader laburista alla Camera Alta, scriveva: “Segretamente noi invidiamo i metodi della dittatura quando vediamo come energicamente essa funziona altrove”. Ma Cipolletta dimostra che questa è una credenza fallace. Non è vero che i regimi autoritari possano riuscire ad innovare veramente la società e l’economia per metterle in grado di resistere alle avversità, perché “ogni vera innovazione è sovversiva e quindi finisce per sovvertire le gerarchie – di valori, di persone, di istituzioni – esistenti”. Cosa che le dittature non vogliono certo.

D’altra parte la convinzione che in molte zone del pianeta la vita delle persone si era avviata verso una tranquilla e costante crescita, è forse nata nel secondo dopoguerra, ma non è mai stata vera sia nella storia antica che nei decenni recenti. Ecco allora che bisogna attrezzarsi per fronteggiare gli imprevisti e Cipolletta con una buona dose di ragionato ottimismo , spiega come si può fare. Due sono i punti forti del suo quadro complessivo. Da un lato l’Europa e dall’altro gli Stati nazionali.

L’Europa deve procedere con maggiore coraggio verso la strada dell’integrazione federale con un bilancio comune più ampio e con una politica estera e di difesa maggiormente integrate. Quello che conta è che l’Europa cambi il proprio approccio di politica economica: non più una politica che affida le proprie capacità di sviluppo all’export, ma punti sulla domanda interna quale driver della crescita, come del resto avviene negli Stati Uniti dove il commercio con l’estero ha un peso piuttosto contenuto sulla dinamica del PIL. E poi un’area come quella euro con circa 350 milioni di abitanti con un reddito pro capite piuttosto alto, come può pretendere di vivere sulle esportazioni, mantenendo un forte attivo della propria bilancia commerciale e quindi non aiutando la crescita del resto del mondo? Ma bisogna chiarire un punto politicamente rilevante: una Europa confederale, come vorrebbe la destra (Le Pen e Meloni), renderebbe impossibile la creazione di livelli di governo comuni, e quindi, di fatto vanificherebbe ogni possibilità di progresso verso una governance europea più unitaria e più efficiente.

Ma dove il pensiero di Cipolletta opera un vero e proprio ribaltone rispetto alla dottrina e alla pratica degli ultimi decenni, è nella nuova visione del ruolo della Stato. Non più una bestia da affamare con tagli delle tasse per ridurre gli sprechi e la mala gestione del settore pubblico, ma una nuova valorizzazione dei servizi pubblici, in tema di scuola, sanità, welfare, oltre ovviamente a quelli classici, come difesa, Giustizia, sicurezza. Questo si può fare non aumentando in maniera indiscriminata la presenta del settore pubblico nell’economia , bensì puntando ad una maggiore “qualità“ dell’intervento pubblico.

Ma questa è proprio la sfida che a volte è stata tentata in passato ma che non ha mai avuto sbocchi positivi. È vero che le diseguaglianze non si combattono solo con una tassazione progressiva dei redditi, ma che possono essere attenuate in maniera più efficace con l’erogazione di buoni servizi pubblici a tutti. Ed è anche vero che se un paese può disporre di buoni servizi collettivi, può anche non aver paura di una giusta tassazione. Le tasse magari non sono “bellissime”, ma se migliorano la qualità della vita in comune, allora il patto sociale che unisce i cittadini può rafforzarsi. Ma come riuscire a far funzionare bene lo Stato, sia nelle sue articolazioni politiche che in quelle burocratiche?

Cipolletta è un po’ allergico al termine riforme, che infatti non evoca quasi mai. Eppure le idee neo-liberiste sono nate proprio dalla constatazione che l’eccesso di regolamentazione e l’alta tassazione, stavano progressivamente ingessando il mercato e quindi ostacolando le innovazioni e la crescita, oltre a portare una elevata inflazione. Ora è sotto gli occhi di tutti il ritorno dello Stato. Ma per fare cosa? Non sembra che, almeno in Italia i nostri politici abbiano imparato la lezione del passato, anzi sembra che vogliano seguire le orme degli anni ‘30 con la creazione di una forte industria pubblica e una spesa in deficit per regali non motivati (si pensi a quota 100 o all’eterna Cassa integrazione). Il miglioramento dei servizi, poi, non potrà esserci fino a quando permarrà l’attuale polverizzazione dei poteri tra Stato e Regioni. Si pensi alla Sanità, ma anche al mercato del lavoro per cui sarebbero necessarie politiche attive che non si fanno per l’opposizione congiunta di sindacati (legati alla difesa del posto attuale) e delle Regioni che gestiscono in maniera clientelare una formazione (che forma ben poco).

Non si devono sprecare le buone crisi. Cipolletta sostiene che nei periodi di crisi le resistenze corporative alle innovazioni e ai cambiamenti, si attenuano. L’esperimento Draghi sta infatti dimostrando che molte cose si possono fare, o quantomeno avviare. E tuttavia ci sarà sempre il bisogno di avere alcune  forze politiche di sincera ispirazione liberal-democratica che possano suscitare il consenso necessario a completare in alcuni anni quel rinnovamento sia del settore pubblico che del mercato privato in modo da farli collaborare per assicurare una alta soddisfazione dei cittadini, con la massima efficienza nella gestione. Non è un sogno, ma una possibilità reale se sapremo guardare al nostro futuro in modo positivo e ragionevole.

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