Da Guardiola in poi, in diversi top club europei ha preso piede la moda della bandiera che da calciatore diventa allenatore della squadra. Con la differenza che se quello dell’ex mediano e poi allenatore del Barcellona era un preciso – e rivoluzionario – progetto tecnico (Pep verrà decisamente ricordato più per il “dopo” che per il “prima”), in alcuni altri casi la scelta è stata piuttosto dettata da ragioni emotive, magari per dare una scossa all’ambiente e per rassicurare i tifosi, mandando in avanscoperta una figura iconica che sarebbe impensabile non sostenere. Quale sarà il caso di Andrea Pirlo, improvvisamente catapultato sulla panchina più importante della Serie A dopo un glorioso passato da calciatore di Milan, Nazionale e proprio Juventus, non è dato saperlo.
Il perché è presto detto: non ha mai allenato, nemmeno come vice, nemmeno a livello giovanile. La scommessa Pirlo, operata dal presidente Andrea Agnelli, deluso da Sarri più per il distacco con l’ambiente che per i risultati, è dunque un azzardo persino maggiore di quello che all’epoca fece il Barcellona. Prima di prendere le redini della prima squadra, cambiando per sempre le sorti dei blaugrana e dell’intero movimento calcistico spagnolo, Guardiola ebbe infatti una esperienza, seppur di solo un anno, nella quarta categoria iberica, alla guida del Barcellona B. Ovviamente, manco a dirlo, vinse il campionato e conquistò la promozione in Segunda B. Nella stagione successiva, quella 2008-2009, fu chiamato da Joan Laporta per sostituire Frank Rijkaard.
Quello che è successo dopo lo sappiamo tutti, anche se le prime settimane non furono rose e fiori: alla prima giornata il Barça perse contro il Numancia, mentre alla seconda pareggiò 1-1 in casa contro il Racing Santander. Vicino all’esonero, Guardiola si salvò col 6-1 contro lo Sporting Gijon. In quella stagione vinse il titolo, andando a vincere in primavera per 6-2 sul campo del Real Madrid, e anche la Champions League. La parabola di Pirlo non ricorda nemmeno quella di un altro ex juventino, Zinedine Zidane. Nel suo caso la scommessa la fece il Real Madrid, ed è stata una delle più azzeccate della storia: alla guida delle merengues ha vinto ben 3 Champions League consecutive, oltre che due Liga (la seconda poche settimane fa).
Un dato rende l’idea più di tutti: venerdì scorso Zidane ha subito, per mano del Manchester City di Guardiola, la sua prima eliminazione da allenatore in Champions League, in quattro partecipazioni. Eppure persino Zizou, per quanto catapultato in una missione che all’inizio sembrava troppo grande per lui, un minimo di esperienza in panchina l’aveva fatta: è stato vice di Carlo Ancelotti al Real nella stagione 2013-2014 (quella della “decima” Champions), e nelle due stagioni successive ha allenato la squadra B. Altri esempi di ex bandiere chiamate ad allenare la squadra del cuore? Ce ne sono ancora in giro per l’Europa. Ad esempio Frank Lampard, che da questa stagione ha sostituito Maurizio Sarri sulla panchina del Chelsea, dopo aver collezionato 429 presenze da giocatore, in 13 stagioni con i Blues. Ma anche lui si è concesso un minimo di gavetta: una stagione al Derby County, seconda divisione inglese.
In Italia la maggior parte degli esperimenti di questo tipo l’ha fatta il Milan, con una sequela di ex giocatori chiamati a gestire il dopo Allegri, ovvero l’ultimo Milan vincente, quello dello scudetto del 2011. Tra loro ci sono stati Filippo Inzaghi (oggi al Benevento, promosso in Serie A) e Gennaro Gattuso (ora al Napoli, dove ha vinto il suo primo trofeo da allenatore, la Coppa Italia): nomine inaspettate, ma comunque un minimo di background c’era. Super Pippo aveva infatti allenato gli Allievi nazionali e la Primavera rossonera (stesso percorso intrapreso poi da Cristian Brocchi, anche lui chiamato in prima squadra e oggi al Monza di Berlusconi), Ringhio aveva addirittura già girato mezza Europa: Sion, Palermo, Ofi Creta e Pisa.
Per trovare due casi davvero alla Pirlo, bisogna ancora guardare in casa Milan. Si tratta di Leonardo, che di Max Allegri fu il predecessore, e di Clarence Seedorf. Il brasiliano fu scelto da Adriano Galliani per la stagione 2009-2010: fino a quel momento aveva avuto solo esperienze da dirigente, sempre nel mondo rossonero (diresse ad esempio la Fondazione Milan). Il Diavolo finì la stagione con zero titoli, agganciando però il terzo posto che valse la qualificazione alla Champions League. Nel gennaio 2014 tocca invece a Seedorf, chiamato a sostituire l’esonerato Allegri. L’olandese firma un contratto di soli sei mesi e i risultati non saranno memorabili: l’esordio è vincente ma poi il Milan chiude ottavo, mancando persino la qualificazione all’Europa League.