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Pirelli, Chemchina e l’addio a Piazza Affari

La P lunga esce dal listino italiano. Pirelli lascia Piazza Affari, nell’ambito dell’operazione che ha portato al suo acquisto da parte di ChemChina, chiudendo un capitolo lungo e ricco di successi all’interno della storia industriale del nostro Paese. A prenderne il posto tra le blue chip del Ftse Mib è stata Anima Holding. Ma non è escluso che fra qualche anno Pirelli si riaffacci al listino.

La società milanese aveva fatto il suo ingresso in Borsa cinquant’anni dopo la propria fondazione, nel 1922 con Pirelli S.a.p.a. e nel 1927 con Pirelli S.p.A (rispettivamente, in gergo borsistico, Pirellina e Pirellona), la cui unificazione in un’unica quotazione avvenne invece nell’agosto del 2003. Ora, dopo la conclusione della riapertura dell’offerta obbligatoria lanciata dal veicolo Marco Polo Industrial, le azione della P lunga saranno sospese a partire da stamattina e revocate nella seduta del 6 novembre.

Si chiude, dunque, un capitolo di storia del capitalismo italiano, ma il delisting di Pirelli non rappresenta la fine della compagnia, nè tantomeno, come ipotizzato dai tanti che invocavano un intervento del Fondo strategico e di F2i nell’ambito dell’acquisizione, rappresenta la perdita, per il nostro Paese, di una delle realtà storiche e di successo della propria industria.

A chiarirlo sono i termini dell’intesa citati nel comunicato stampa diffuso da Camfin all’alba dell’operazione, quando venne siglato l’accordo vincolante per la partership con ChemChina, in cui si dichiarava che “l’elemento centrale dell’accordo è la continuità e autonomia dell’attuale struttura manageriale” e che la “sede e know-how” del gruppo sarebbero stati mantenuti in Italia.

Termini ai quali hanno fatto eco le dichiarazioni del Ceo Marco Tronchetti Provera (che rimarrà in sella fino al 2021 anche con il nuovo assetto), secondo cui “quest’operazione renderà Pirelli più forte e ne ribadirà il radicamento”. “Cuore e testa – prosegue Tronchetti – rimarranno in Italia”.

Più che di una fine, si tratta di una metamorfosi, di un soggetto industriale che cambia la propria pelle per affiancarsi, se possibile, ancora di più con la propria natura, quella di un’eccellenza globale del Made in Italy, uno dei marchi nostrani maggiormente conosciuti e riconoscibili nel mondo.

Sono molte le cose che cambieranno, a partire dall’azionista di maggioranza, passando per il consiglio fino al presidente, il numero uno di ChemChina Rex Janxin, che ha ribadito i concetti espressi da Tronchetti Provera sul fatto che Pirelli resterà in Italia perché “non si può pensare di far crescere un azienda fuori dall’alveo in cui ha prosperato”.

La P lunga rimarrà se stessa, ma guarderà ancora di più verso l’estero, perchè l’operazione serve principalmente a fornire un’ulteriore impulso alla strategia di crescita della compagnia milanese, nella strada che porta verso la costituzione di un gruppo di portata mondiale su tutti i segmenti del Tyre.

E, aldilà dei nazionalismi dell’ultim’ora che spesso non considerano le contingenze industriali di un Paese, l’assorbimento in ChemChina rappresenta una grande opportunità, perchè può spalancare a Pirelli le porte del più grande mercato del mondo, quello cinese, in cui il tasso di possesso di vetture, con tutto ciò che ne consegue, è previsto in impetuosa crescita nei prossimi anni. Il futuro di un’impresa vale più di una bandiera.

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