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Pir, la Manovra 2019 paralizza il mercato: stop agli investimenti

Pixabay

Si torna a parlare dei Piani individuali di risparmio, meglio noti come PIR, strumenti finanziari che nel 2017 hanno riscosso un successo clamoroso. L’anno scorso, complici le difficoltà dei mercati, la raccolta si è sensibilmente ridotta, ma i Pir hanno continuato ad essere protagonisti dell’universo del risparmio gestito. Dal 1°gennaio 2019 il blocco. Da quasi un mese i risparmiatori che vogliono investire in PIR non hanno la possibilità di farlo. Il motivo è presto detto: il Governo Lega – M5s, con la legge di Bilancio 2019, ha introdotto nuove regole sui PIR che potrebbero cambiare in maniera tangibile il loro profilo. Per cercare di capire come e quanto però c’è bisogno di un decreto attuativo che spieghi ai gestori cosa fare. Fino a quel momento la raccolta dei PIR rimarrà sospesa. Solo chi ha già sottoscritto in passato i Pir può alimentarli con nuovi investimenti.

Nel frattempo, in attesa dei dovuti chiarimenti, molte Sgr hanno espresso una forte preoccupazione nei confronti delle modifiche stabilite in Manovra, considerate un vero e proprio pericolo che mette a repentaglio la liquidabilità insita negli strumenti, esponendo parallelamente i risparmiatori a un rischio maggiore.

PIR: COSA SONO E COME FUNZIONANO?

Introdotti dal Governo Renzi allo scopo di veicolare il risparmio verso le imprese italiane, i PIR sono dei contenitori all’interno dei quali l’investitore avrà la possibilità di collocare diverse tipologie di strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, quote di OICR, contratti derivati) o somme di denaro, rispettando però determinate condizioni: almeno il 70% del valore complessivo dei Pir deve essere investito in strumenti emessi o stipulati da imprese residenti in Italia o imprese straniere che hanno attività stabile in Italia. Di questo 70 per cento, almeno il 30% deve essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle quotate sul FTSE Mib. Il restante 30% del portafoglio può essere impegnato in qualsiasi strumento, compresi depositi e conti correnti.

Chi rispetterà queste regole e manterrà i propri soldi nel PIR per almeno 5 anni potrà contare su una detassazione totale degli utili.

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PIR: CRONACA DI UN SUCCESSO INASPETTATO

Attratti dall’agevolazione fiscale nel 2017 i risparmiatori italiani si sono spostati in massa verso i PIR. A fronte di una previsione pari a circa 5 miliardi di euro, nell’anno del debutto i piani individuali di risparmio hanno incassato più del doppio: 11 miliardi di euro investiti da quasi 800mila sottoscrittori che in media hanno “sborsato” 13.500 euro. In un solo anno i PIR hanno “conquistato” l’8 per cento del flottante del Mid Cap, il 6% dello Small Cap e addirittura il 10% dell’AIM Italia.

Positiva, ma di gran lunga inferiore, la raccolta del 2018, fermatasi a 4 miliardi di euro. In questo contesto occorre considerare però la forte volatilità che ha caratterizzato i mercati nel 2018 e in particolare le difficoltà che hanno colpito l’industria del risparmio gestito, la cui raccolta si è chiusa a 7,3 miliardi di euro a fronte dei 97,5 miliardi incassati nel 2017.

PIR LE NOVITÀ DELLA MANOVRA

La Legge di Bilancio 2019 prevede importanti novità sui PIR. Alle regole già citate se ne aggiungono altre due: Si dovrà investire il 3,5% del totale su Pmi quotate nell’indice Aim Italia che abbiano meno di 50 milioni di fatturato e meno di 250 dipendenti. Un ulteriore 3,5% dovrà invece andare su azioni o fondi di venture capital italiani.-\

Le regole non sono retroattive, quindi si applicheranno ai PIR aperti dopo il 1°gennaio 2019 e non ai precedenti.

Lo scopo è chiaro: favorire la crescita delle imprese e delle start-up, spingendo sull’innovazione, ma bisogna considerare che oggi sul mercato italiano ci sono circa venti fondi di venture capital, mentre il mondo start-up sulle quali si vuole veicolare l’investimento rimane piuttosto nebuloso per i risparmiatori. In pratica, come hanno rilevato molti gestori, si attribuiranno ai Pir dei compiti che non gli competono.

Ovviamente su questi cambiamenti occorrono dettagli e chiarimenti che arriveranno attraverso il classico canale del decreto attuativo che spieghi ai gestori come istituire nuovi PIR. In teoria ci sarebbe tempo fino ad aprile, ma il Governo ha assicurato che il provvedimento sarà licenziato entro febbraio allo scopo di evitare la paralisi totale – già in atto – del mercato.

PIR: LE CRITICHE

Sono due le critiche fondamentali ai nuovi paletti introdotti dal Governo Conte. La prima riguarda il fatto che le nuove regole snaturano le caratteristiche fondamentali di un fondo aperto, compromettendone la liquidità. La seconda, conseguente, è l’innalzamento del profilo di rischio dei PIR, nati al contrario come uno strumento conservativo.

Sulla questione si è espressa anche Assogestioni che attraverso una circolare ha sottolineato che “non si può non evidenziare come i nuovi vincoli di investimento introdotti affinché un Oicr (organismo di investimento collettivo di risparmio) possa qualificarsi ‘Pir compliant’ non consentano di assicurare il rispetto dei requisiti di liquidabilità e di valutazione previsti per gli Ucits” (Undertakings for Collective Investment in Transferable Securitie) dalla direttiva europea del luglio 2009, “volti a non compromettere l’obbligo dell’Oicr di rimborsare le quote in qualunque momento”.

In precedenza, sulle pagine del Sole 24 Ore, il direttore dell’Ufficio studi di Assogestioni, Alessandro Rota, “con l’obbligatorietà di investire quote minime in fondi di venture capital, si rischia di intervenire su uno strumento che funziona per fargli fare quello che non può fare”.

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