X

Pil, l’Italia cresce poco ma non è colpa dell’euro: ecco i numeri

Pixabay

Il dibattito politico-economico ruota da tempo intorno a un tema: se l’euro abbia “mortificato” la nostra crescita economica.

Al di là del fatto che l’euro ha significato e continua a significare per l’Italia qualcosa di altrimenti irraggiungibile, vale a dire tassi d’interesse praticamente nulli, i dati sull’andamento del nostro Pil dimostrano che già da molti anni prima che la moneta unica facesse il suo ingresso il nostro Paese era il fanalino del mondo in quanto a crescita.

Pertanto, i nodi da sciogliere per dare maggiore dinamicità al nostro Pil non vanno individuati nell’Euro, ma nei nostri problemi interni.

Partiamo dai dati sul Pil. Innanzitutto, una premessa: è noto che l’Ue si è formata poco alla volta, per cui mentre oggi essa conta ventotto Stati Membri, fino al 31 dicembre del 1994 ne contava 12 (Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Irlanda, Regno Unito, Grecia, Spagna e Portogallo), e dal primo gennaio 1995 ne ha contati 15 (si aggiunsero Austria, Finlandia e Svezia). Tutti gli altri tredici si sono aggiunti fra il 2004 e il 2013.

Dei quindici membri esistenti fin dal 1995, undici entrarono fin dal primo giorno nella moneta unica e la Grecia dopo circa due anni. Danimarca e Regno Unito sono invece rimasti fuori dall’Euro.

In breve, il gruppo dei 15 paesi membri nel 1995 è sostanzialmente anche il primo gruppo dei Paesi che aderì all’Euro. Ciò, ricordiamo, perché se analizziamo il Pil aggregato dei 15 Paesi che erano membri dell’Ue nel 1995, analizziamo anche il Pil dei Paesi che entrarono immediatamente nella moneta unica. Data la sua rilevanza, analizzeremo poi separatamente il Pil della Gran Bretagna.

Ciò detto, confrontiamo i nostri dati con quelli di Usa, UK (fuori dall’euro), Spagna, Francia e Germania, importanti Paesi dell’Euro, e l’Ue a 15 nel suo insieme. Da questi dati non solo potrà emergere l’eventuale differenza esistente fra noi e l’insieme dei paesi dell’Ue che hanno adottato l’euro, ma anche la differenza “one to one” fra noi e alcuni singoli paesi che hanno adottato l’euro e che ricoprono un evidente ruolo di primo piano. Infine, il confronto con Usa e UK ci dà anche l’idea di cosa sia successo fuori dall’euro.

ANNI SETTANTA

Ebbene, partendo dagli anni Settanta (1970-1979) la nostra crescita (Pil cumulato) a prezzi costanti 2000 ha superato quella di tutti gli altri. Da noi avemmo +45,2%; in Usa +37,8%; in UK +21,1%; in Spagna +42,8%; in Francia +43,6%; in Germania (Ovest) +33,0% e in Ue (a 15) +39,6%.

ANNI OTTANTA

Lo stesso esercizio negli anni Ottanta ci dà: Italia +26,9%; Usa +37,6%; UK +29,8%; Spagna +33,5%; Francia +26,8%; Germania +25,9% e Ue (a 15) +26,8%. Quindi, mentre nei Settanta crescevamo più di tutti, già negli Ottanta abbiamo cominciato a decelerare (da 45,2 a 26,9 nei due decenni) e a perdere quindi posizioni. Andarono infatti meglio di noi Usa, UK e Spagna. Gli altri, più o meno come noi, compreso la media Ue a 15 nella cui crescita la nostra minore dinamicità avrà certamente influito.

ANNI NOVANTA

Lo stesso esercizio nei Novanta ci riserva nuove e non gradevoli conferme: Italia +17,1%; Usa +38,4%; UK +27,2%; Spagna +31,8%; Francia +21,6%; Germania +23,1% e Ue (a 15) +24,1%.

In breve, nei Novanta siamo stati i peggiori di tutti i Paesi del piccolo elenco qui riportato, e di gran lunga peggio della media Ue. Già così potremmo dire che l’Euro non ha molto a che vedere con le nostre non brillanti performance.

GLI ANNI PRE-CRISI: 2000-2007

Entriamo dunque nell’era dell’euro e vediamo cosa è successo. Dal 2000 al 2007, cioè negli otto anni prima della crisi, i dati cumulati ci dicono quanto segue: Italia +7,9%; Usa +17,9%; UK +19,7%; Spagna +26,6%; Francia +12,7%; Germania +8,5% e Ue (a 15) +13,5%.

I commenti sono inutili. Fuori dall’euro (Usa e Uk) abbiamo chi crebbe due volte (e più) di noi, dentro l’Euro abbiamo chi crebbe tre volte più di noi (Spagna) o il doppio di noi (Ue a 15), mentre la Francia segna un +50%. La Germania crebbe effettivamente poco più di noi, ma stava ancora smaltendo i problemi dell’unificazione.

Fin qui però abbiamo esaminato i dati relativi al periodo della crescita, seppur modesta. I riscontri peggiori riguardanti la nostra anomalia si hanno tuttavia nei periodi di recessione.

GLI ANNI DELLA CRISI: 2008-2013

Analizziamo l’andamento del Pil reale (dati anno per anno e quindi non più concatenati) di Italia, Francia e Germania a partire dal 2008. Nei sei anni a cavallo della lunga crisi (2008-2013), il Pil italiano ha fatto segnare una diminuzione che vale circa 8,9 punti percentuali (-1,3% nel 2008, -5,5% nel 2009, +1,8% nel 2010, +0,4% nel 2011, -2,4% nel 2012 e -1,9% nel 2013), riportandoci al Pil del 1999.

Dal 2008 al 2013, il Pil di Francia e Germania, seppur di poco, è sempre aumentato, tranne che nel 2009. Nel complesso, Francia +1,5% e Germania + 4,9%.

IL PROBLEMA NON È L’EURO

La conclusione quindi è che quando il mondo cresce noi cresciamo meno degli altri e quando il mondo va in recessione noi lo facciamo in modo più amplificato degli altri. In termini ancora più riassuntivi, possiamo affermare che tra il 1992 ed il 2007 (quindi fermandoci prima della crisi) il Pil Italiano è cresciuto di 15 punti percentuali in meno della media europea e di circa 35 punti in meno degli Stati Uniti. Abbiamo perso quasi un punto di Pil all’anno rispetto all’Europa e più di due rispetto agli Usa.

Eliminato quindi l’euro come causa dei nostri mali, è evidente che i problemi li abbiamo in casa: produttività scarsa, divario Nord-sud, burocrazia, mercato del lavoro, asfissia del mercato finanziario, scomparsa della grande impresa, molta innovazione di processo e poca innovazione di prodotto (quindi maggiore esposizione a qualunque tipo di concorrenza da parte di paesi emergenti) e così di seguito.

Infine, e non crediamo sia secondario, il nostro Paese ha sempre utilizzato le politiche congiunturali a fini strutturali. L’incalzare della globalizzazione e l’ingresso dell’euro hanno eliminato o fortemente ridotto l’utilizzo delle politiche congiunturali e quindi il nostro Paese si è trovato ad affrontare il nuovo scenario con alle spalle anni di sostanziale assenza di politiche strutturali.

Dal che una considerazione conclusiva. Al netto dei noti errori dell’Europa nel gestire le crisi di cui abbiamo parlato lungamente, indicare l’Europa e l’euro come i nostri talloni di Achille è cosa priva di senso.

Related Post
Categories: Economia e Imprese