Condividi

Piazza Affari maglia nera, spread sopra quota 180

La settimana si chiude con forti perdite per quasi tutti i listini europei, ma Milano è di gran lunga la Borsa peggiore: il Ftse Mib cede l’1,75% – Capitombolo delle banche: preoccupa la prospettiva del No al referendum, anche dopo le parole di Bankitalia – Mps in controtendenza – Si salvano Stm e Fca – Lo spread naviga tutto il giorno intorno a quota 180 punti base, chiudendo quasi a 181.

Piazza Affari maglia nera, spread sopra quota 180

Tracollano i titoli delle banche italiane in un venerdì nero per Piazza Affari condizionato dalla prospettiva della vittoria del No al referendum. L’indice Ftse Mib chiude con una perdita dell’1,75% a quota 16.200. Perdite sopra l’1% anche per Madrid, Più modesti i cali degli altri listini europei, inferiori al mezzo punto. La Borsa americana annulla il guadagno registrato in apertura. L’indice S&P 500 scende dello 0,2%, il Dow Jones scende dello 0,1%, Nasdaq -0,3%.

Sul fronte macro continua la corsa del dollaro. La valuta Usa è scambiata a 1,057. In dieci giornate, dal 4 novembre a ieri, ha guadagnato il 5% circa. Guadagnano i bond americani, con il rendimento del Treasury Bill decennale in calo a 2,27% da 2,30%. Intanto il differenziale tra il decennale italiano e quello tedesco ha chiuso a quota 180,829 punti base. In una settimana il rendimento è salito a 2,08% da 2,01%. La forbice con i Bonos spagnoli è balzata oltre i 50 punti.

Petrolio in netto ribasso: il Brent scende dell’1% a 46 dollari, mentre il Wti tratta a 44,9 dollari al barile (-0,9%). A Milano Saipem ha ceduto il 2,6%, Eni l’1,75% e Tenaris l’1,78%. Esther George, presidente della Fed di Kansas City, oggi ha sottolineato come i produttori petroliferi affermavano nel 2014 di aver bisogno di un prezzo del petrolio medio di 79 dollari al barile per essere redditizi mentre oggi la soglia è molto più bassa, a circa 53 dollari.

Al centro della bufera il settore bancario italiano: -2,8% dopo avere raggiunto un minimo dal 5 ottobre scorso, a fronte di un calo dello 0,6% del comparto europeo. Negli ultimi cinque giorni il comparto ha lasciato sul terreno il 10% trascinata dal calo di: Banca Pop. Milano e Banco Popolare rispettivamente -15,5% e – 14,9%, nonostante che il futuro amministratore delegato del gruppo che emergerà dalla fusione dei due istituti, Giuseppe Castagna, abbia definito le coperture sui crediti deteriorati del duo finanziario “assolutamente” adeguate. Ubi -14,4%.

Unicredit -12,8% (oggi -0,9%) ha ufficialmente ammesso la possibilità di un aumento di capitale da presentare in occasione del business plan del 13 dicembre. Oggi Mediobanca ha subito una battuta d’arresto del 4% nonostante il piano al 2019 presentato ieri. L’istituto ha annunciato un’opa volontaria parziale su due bond subordinati Lower Tier 2 fino a un valore nominale di 200 milioni di euro con facoltà di accettare un ulteriore 15%. L’offerta partirà il 22 novembre.

In territorio positivo, grazie alla forza del dollaro, Stm +1,95%. Alle vendite sul settore del credito si aggiunge la cautela sulle utility. Chiusura negativa per Enel -2,38%:il mercato che non ha premiato il riavvio della copertura da parte di Morgan Stanley, casa d’affari che ha assegnato un rating equal-weight e un prezzo obiettivo a 4,3 euro. Secondo gli analisti il titolo offre una “crescita del dividendo superiore alla media, un bilancio solido e una valutazione interessante”, anche se il margine di upside è in linea con il settore.

Recupera Italgas +0,7% dopo il report di Credit Suisse. Giù anche Telecom Italia -2,2%. Finale positivo per Fiat Chrysler +0,57%, il titolo ha beneficiato della forza del dollaro e del nuovo crossover Jeep Compass, che al Salone di Los Angeles “in questi giorni sta ricevendo molta attenzione”. La società ha siglato un accordo con Amazon per la vendita delle vetture via web. A Francoforte chiusura piatta per Volkswagen dopo l’annuncio del piano di riduzione del personale che coinvolgerà circa 30mila persone.

In serata Mediaset ha annunciato di aver rinunciato al ricorso d’urgenza per il sequestro delle azioni di Vivendi, pari al 3,5%, coinvolte nell’accordo su Premium. La controllata di Mediaset ritiene “non più sussistente il pericolo che i propri diritti contrattuali risultino pregiudicati dalla fisiologica durata del giudizio di merito le cui domande restano integralmente confermate”.

Commenta