Il fulcro del business di Eni continuerà ad essere l’upstream, ovvero l’attività di esplorazione e di produzione di petrolio, per il quale il cane a sei zampe investirà il 77% dei 33 miliardi di Capex complessivi da qui al 2022 (di cui 8 già nel 2019 e di cui circa 2,4 solo in Italia, in linea con gli anni precedenti), senza però dimenticare la transizione energetica, con un piano da 3 miliardi per la decarbonizzazione attraverso economia circolare, biocarburanti e fonti rinnovabili, e la solidità finanziaria, col flusso di cassa che – con il prezzo del petrolio di oggi – crescerà del 17% al 2022, con 22 miliardi generati solo dall’upstream e un flusso di cassa operativo in aumento di 3,6 miliardi nell’arco del piano. Sono questi i cardini del nuovo piano strategico di Eni, presentato a San Donato dal CEO Claudio Descalzi e che prevede anche un buon riconoscimento per gli azionisti sin da quest’anno, col dividendo a 0,86 euro per azione (+3,6%) e un successivo programma di buyback da 400 milioni annui in scenario di Brent attuale (60-65 dollari al barile), che potrebbe persino raddoppiare a 800 milioni annui con il Brent superiore ai 65 dollari.
“Nel corso degli ultimi cinque anni – ha commentato Descalzi – abbiamo messo in atto una strategia di trasformazione con lo scopo di rafforzare il modello di business riducendo drasticamente il debito”. Quello netto, nel 2018, è sceso a 8 miliardi, in un bilancio che ha visto anche la crescita dei ricavi a quasi 77 miliardi, il raddoppio dell’utile operativo adjusted rispetto al 2017 a 11,24 miliardi e il dividendo già in aumento a 0,83 euro per azione. “Abbiamo costruito una nuova Eni fondata su efficienza, integrazione e nuove tecnologie, decisive anche per la decarbonizzazione, che è una priorità strategica per il nostro Cda. Cresceremo nelle rinnovabili e nei biocarburanti facendo di Eni una società più profittevole”, ha aggiunto il manager.
UPSTREAM
Il driver dell’attività, come detto, rimane la parte di esplorazione e produzione di idrocarburi, con un investimento di 3,5 miliardi solo nell’esplorazione, che porterà alla scoperta di 2,5 miliardi di nuovi barili, perforando circa 40 pozzi all’anno per un’estensione complessiva che raggiungerà quasi il mezzo milione di chilometri quadrati in tutto il mondo (pari allo 0,1% della superficie terrestre totale, considerando i mari). La produzione è stimata in crescita del 3,5% all’anno fino al 2022, con i 18 nuovi progetti che arriveranno a produrre 660.000 barili di olio al giorno entro il 2022, andando a break even con un prezzo del Brent molto inferiore a quello attuale, fissato a 25 dollari al barile. L’attività di espansione degli impianti già attivi contribuirà per ulteriori 290.000 barili al giorno entro il 2022.
La crescita sarà sostenuta grazie a una importante diversificazione geografica: Eni infatti punterà principalmente su tre aree, che sono il Medio Oriente, la Norvegia (anche tramite la creazione della società Var Energi) e il Messico, che diventa un po’ la nuova frontiera, dopo l’apertura agli operatori privati avvenuto solo pochi anni fa. Opposta la situazione in Venezuela, dove le tensioni e la mancata manutenzione degli impianti da parte dell’operatore, cioè la compagnia statale venezuelana, hanno già determinato un rallentamento, mentre rimarrà importante il ruolo dell’Africa, dove Eni oggi realizza oltre la metà della sua produzione. Medio Oriente, Norvegia e Messico contribuiranno da soli, entro il 2022, alla produzione di 290.000 barili al giorno, ossia il 44% del totale della nuova produzione.
GAS & POWER
Anche il gas continuerà ad avere un ruolo centrale, con il portafoglio GNL (gas naturale liquefatto) che raggiungerà i 14 milioni di tonnellate per anno nel 2022 e i 16 milioni entro il 2025. Sul gas è prevista anche una forte crescita nel settore retail in Europa, con il pronostico che parla del raggiungimento di circa 12 milioni di clienti da qui a quattro anni, in aumento del 26% rispetto al 2018. Tutto questo avrà un significativo impatto sui conti, visto che l’Ebit del settore toccherà i 700 milioni nel 2022, di cui il 70% proveniente proprio dal settore retail, e il free cash flow complessivo del quadriennio sarà pari a 2,3 miliardi di euro.
TRANSIZIONE ENERGETICA
Eni nel nuovo piano dichiara apertamente di volersi impegnare nell’obiettivo internazionale della decarbonizzazione entro il 2030: visto che difficilmente sarà possibile azzerare del tutto le emissioni di CO2, l’Ad Descalzi ha pianificato di compensare le emissioni residuali tramite un ampio progetto di forestazione. In generale, saranno investiti 3 miliardi nella svolta green, con la previsione di installare un totale di 5 GW di capacità rinnovabile entro il 2025. Questo business genererà flusso di cassa ma sarà importante anche per abbassare i costi operativi, visto che ad esempio le fonti rinnovabili potranno essere utilizzate per le esigenze di autoconsumo, in sostituzione del gas, che potrà così essere venduto.
Non solo: l’investimento in tecnologie green renderà più pulita anche la stessa attività, come ad esempio quella della “raffinazione verde”, negli impianti italiani di Gela e di Venezia. A Gela inoltre è già attivo l’impianto alimentato a FORSU (il materiale raccolto dalla raccolta differenziata), in grado di produrre biocarburante da rifiuti organici e di generare acqua da utilizzare per l’agricoltura, nell’ambito della valorizzazione dell’economia circolare, che tra l’altro allungherà la vita dei siti industriali. Eni ha anche già implementato una nuova tecnologia per produrre energia termica (e dunque alimentare i processi) da energia solare, oltre che una nuova generazione di pannelli fotovoltaici, più sottili e leggeri.
“L’energia pulita si ritaglierà uno spazio sempre più importante – ha spiegato Descalzi -: le rinnovabili oggi generano già il 10-12% di ritorno sugli investimenti, ancora molto meno rispetto alla percentuale garantita dall’upstream, ma l’upstream è anche legato a rischi minerari e a rischi geopolitici, senza contare che un business green qualifica la compagnia, la rende più credibile e più flessibile. Bisogna far capire ai nostri investitori che si può rinunciare a qualche punto di profitto se questo significa creare valore. Eni deve trasformarsi perché dovrà esistere anche tra 10, 20, 30 e più anni. Da un lato siamo giudicati ogni trimestre, dall’antro il nostro compito è di avere una visione decennale”.
STRATEGIA FINANZIARIA
Eni punta a una sempre più rigorosa solidità finanziaria. Per questo, a fronte di un piano di investimenti massiccio, da 33 miliardi di Capex totali, che porterà la produzione a crescere non più del 3% ma del 3,5% annuo, ha anche abbassato il prezzo di breakeven a 25 dollari al barile per il Brent, mettendo in conto uno scenario molto diverso da quello attuale e orientato al low carbon. Nonostante la politica generosa sui dividendi, Eni prevede un miglioramento della neutralità di cassa (cash neutrality) post dividendo, che passerà da 55 dollari al barile nel 2019 a 50 dollari a fine piano, nel 2022.
Questo permetterà di sostenere, in uno scenario ragionevole, la remunerazione degli azionisti. Anche attraverso un robusto buyback, da 400 milioni l’anno (o 800 con il Brent sopra i 65 dollari al barile) fino al 2022: “Nessuno ha preso un impegno così lungo”, ha tenuto a ribadire Descalzi, che nel frattempo ha anche incassato un tiepido plauso da parte dei mercati, con il titolo Eni che nel primo pomeriggio guadagna mezzo punto percentuale scarso, a 15,6 euro per azione, con un andamento inferiore a quello del listino del Ftse Mib.