Shell ha tagliato del 66% il dividendo del primo trimestre 2020 che scende a 16 centesimi per azione. La compagnia anglo-olandese ha annunciato giovedì che ridurrà il pay out da 15 miliardi di dollari lo scorso anno a 5 miliardi quest’anno. Un taglio di questo genere non accadeva dalla fine della Seconda Guerra mondiale. La norvegese compagnia di Stato Equinor ha fatto la stessa cosa: taglio del 67% del dividendo a 0,09 dollari per azione contro 0,27 dello scorso anno. Il settore petrolifero è attraversato da un terremoto che ha fatto crollare i prezzi in caduta verticale come non si vedeva da molti anni: il greggio quotava 64 dollari/barile in gennaio, alla vigilia della scadenza dei contratti future di maggio, il 20 aprile scorso, ha varcato la soglia dei prezzi negativi con il WTi texano in caduta a -37 dollari/barile.
Le ragioni alla base del fenomeno – clamoroso ma non inatteso – sono ormai note: sovraccarico negli stoccaggi, caduta della domanda globale per effetto della crisi da coronavirus, scontro sui tagli produttivi all’interno dell’Opec Plus nel tentativo di mettere in difficoltà e estromettere dal mercato i produttori di shale oil Usa, fattori strutturali legati alla decarbonizzazione.
Tutte le Major stanno riducendo gli investimenti e riconsiderato i piani di acquisto di azioni proprie già approvati. Ma fino a quando saranno in grado di mantenere i dividendi “aristocratici”, tra i più alti rispetto agli altri settori, assicurati finora? La domanda è al centro delle preoccupazioni di molti analisti. Shell ha deciso di tagliare il dividendo in modo significativo, una decisione storica. Come devono valutare questo fenomeno gli investitori, come un’opportunità o una delusione?
Se lo chiede l’ultimo report di Goldman Sachs che pone (e risponde) a cinque domande cruciali per gli azionisti: 1) il taglio di dividendo è un segno di squilibrio di bilancio? “No. Nonostante il crollo della domanda senza precedenti stia ponendo una terribile pressione sul settore, i bilanci delle Big Oil sono resilienti, anche se il rapporto tra debito e capitale impiegato ha raggiunto il suo massimo” spiegano gli analisti di GS.
Seconda domanda: è la decisione appropriata per gli azionisti? “Crediamo che un pay out elevato sia importante per assicurare una disciplina di costi e capitale nel settore, ma vogliamo porre il caso dei dividendi variabili come strumento per garantire una spesa anticiclica, in linea con alcuni casi di studio nel settore minerario”.
Domanda numero 3: altre società seguiranno l’esempio di Shell? “Sì , è verosimile che l’esempio sia seguito dalle altre società oil europee anche se l’attesa è di riduzioni più moderate. 4) E’ la fine della disciplina del capitale? “No, riteniamo che una corretta disciplina del capitale sia strutturale nelle società Oil&Gas in epoca di Climate Change, con la prospettiva che una fase di sotto-investimento crei dinamiche attraenti nelle forniture di medio termine sia nell’Oil che nel gas, specialmente nell’Lng. E infine 5) Tutto ciò porterà verso nuovi M&A?”Sì, crediamo che la flessibilità finanziaria generata da pay out inferiori sia verosimilmente in grado di portare a un maggior numero di M&A, particolarmente nell’area delle Rinnovabili/low carbon” .
Questo le risposte degli analisti di Goldman Sachs che documentano come i prezzi break even delle Major europee, necessari per coprire capex e dividendi, siano crollati del 60-70% dai picchi del 2014. Le stime per il 2020 indicano infatti 41$ nel 2020 e 40& nel 2021.
L’analisi di GoldmanSachs propone dunque come soluzione quella di dividendi flessibili: più alti quando i profitti aumentano, più bassi quando il ciclo è meno favorevole, lasciando così spazio agli investimenti in funzione anticiclica. GS fa notare che le Oil europee pagano dividendi decisamente più alti rispetto alle altre società quotate, conservando un margine di riduzione del 30% che comunque le lascerebbe in una posizione più remunerativa rispetto ad altri settori.
L’Eni ha ritirato la proposta di buy-back da 400 milioni e ha tagliato anche gli investimenti per fare fronte alle conseguenze di un petrolio precipitato ai minimi e per mettere in sicurezza il dividendo. ExxonMobil e Chevron hanno sempre pagato dividendi crescenti, anno dopo anno. Dopo un lungo tentennamento che ha lasciato gli azionisti con il fiato sospeso, Exxon ha annunciato tagli del 30% nel Capex e riduzioni delle spese operative. Per la prima volta dal 2007, tuttavia, non ha aumentato il dividendo del secondo trimestre, lasciandolo fermo a 0,87 centesimi come nel 1Q e assicurando agli azionisti 1,74$ a metà anno contro i 3,43 pagati per l’intero 2019. Chevron, Shell e Total hanno avviato azioni, a loro volta, destinate a preservare il dividendo per gli azionisti. La compagnia francese dovrebbe annunciare il 5 maggio le sue decisioni. Ma chi segue il settore si chiede fino a quando queste misure saranno sufficienti a salvare i dividendi 2020 e quanto invece le riduzioni del Capex finiranno per impattare sulla riduzione delle cedole.