Il prezzo del petrolio dipende dall’eccesso di offerta nei confronti di una domanda comunque in forte crescita. La situazione, nonostante il calo delle estrazioni dei giacimenti non convenzionali Usa indotta dal calo delle quotazioni, è destinata a durare, perché i Paesi produttori, Opec e non Opec, sono troppo dipendenti dal greggio per far fronte alle esigenze del bilancio pubblico e sostenere le spese crescenti del welfare, necessarie per garantirsi il consenso. È una delle conclusioni di Massimo Nicolazzi, responsabile dell’energia per l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), che ha tenuto, nell’ambito del convegno Aiaf (l’associazione degli analisti finanziari), una relazione a tutto campo sul petrolio, a partire dall’impatto dello shale oil Usa e dalla politica saudita, causa prima della caduta dei prezzi.
E adesso? E’ possibile che entro l’anno si verifichi un riequilibrio graduale tra produzione e consumi con effetto sulle quotazioni. “Quando – sostiene Nicolazzi – lo diranno le modalità di smaltimento degli shock esistenti”. Ma la volatilità dei prezzi che ha distinto la prima parte del 2016 non deve meravigliare: “ Il petrolio è sempre stato un animale ciclico e volatile; la volatilità è sempre stata la sua forma di business as usual”.