La morte di Hugo Chavez pone molti interrogativi politici ed economici, ma per il momento i mercati petroliferi internazionali, quelli che sono di importanza più rilevante per il Venezuela, non paiono reagire in modo significativo alla scomparsa del leader.
Chavez, figlio di un maestro di campagna, deve molto al suo carisma personale, ma deve molto anche al petrolio. Come dice Daniel Yergin, del Cambridge Energy Research, sono stati i prezzi troppo bassi a fiondarlo verso il potere e sono stati i successivi forti rincari a consentirgli di mantenerlo. Però nei 14 anni della sua presidenza il “peso” del Venezuela nel panorama mondiale del greggio non è certo aumentato. Il paese è tra i primi tre del mondo quanto a riserve accertate, ma le sue esportazioni erano a 3 milioni di barili al giorno nel 2000 e hanno toccato il minimo di 1,7 mbg nel 2011, con una flessione in gran parte riconducibile alla nazionalizzazione dei giacimenti e delle installazioni. La Petroleos de Venezuela SA (Pdvsa) ha quote di controllo in ogni pozzo del paese ma non ha gli stessi mezzi finanziari e tecnologici delle major espropriate, tra le quali figura il numero uno mondiale, Exxon Mobil.
Però il greggio è ancora la chiave di volta dell’economia di Caracas, che nel 2012 ha ricavato da ogni barile esportato circa 103,46 dollari e ha registrato una crescita del prodotto interno lordo del 5,6%. Notevole anche l’interesse di Washington: benché gli Usa siano vicini all’autosufficienze energetica, è verso di loro che si dirige un flusso di circa un milione di barili al giorno di greggio venezuelano (su una produzione totale che non arriva a 3 mbg). Il petrolio è stato anche il mezzo con cui Chavez ha effettuato clamorosi gesti dimostrativi, come la vendita di carburanti a basso prezzo alle famiglie statunitensi meno abbienti, un programma assistenziale promosso dalla Citgo, società Usa controllata dalla Pdvsa.
Sul mercato interno, insieme a case, scuole, ospedali e prodotti alimentari, anche il carburante ha goduto di sovvenzioni eccezionali. Benché benzine e gasolio fossero di importazione (causa le critiche condizioni delle raffinerie nazionalizzate), il prezzo alla pompa in Venezuela è stato finora tra i più bassi del mondo. Un’agevolazione ai cittadini, certo, ma che al paese è costato 25 miliardi di dollari all’anno.
Ovvio chiedersi se la situazione cambierà, e verso quale direzione. La risposta alla seconda domanda non c’è, mentre quella alla prima domanda è ragionevole aspettarsi che sia affermativa. Il vicepresidente Nicolas Maduro, cinquantenne autista di autobus che guida il paese dal 10 gennaio, è per il momento l’unico candidato alla successione di Chavez. La nomina dovrà avvenire entro 30 giorni dal funerale che si celebrerà venerdì, ma all’orizzonte non si vede chi possa davvero sostituire il leader appena sconfitto dal cancro. Il suo potere nasceva dal carisma, dall’entusiasmo per i sogni che sembravano realizzabili, come quello che recitava “Il Venezuela è ricco, puoi esserlo anche tu”. Il potere dell’apparato quindi rischia di rivelarsi fragile, senza Chavez.
L’opposizione mira senz’altro a ridare fiato al mercato, a riportare in basso gli elevatissimi tassi d’interesse. Ma con le istituzioni sgretolate da anni di dittatura e con la posizione dei militari ancora tutta da decifrare, è assai difficile che il Venezuela eviti un periodo di instabilità e tenga a bada la corruzione e la criminalità (nel 2012 i dati ufficiali parlano di almeno 16mila omicidi). Il presidente Barack Obama dichiara, come è ovvio, che punta a “costruttive relazioni”. Le nazioni latino-americane gratificate da Petrocaribe (la società che esporta greggio venezuelano con agevolazioni e dilazioni di pagamento) saranno ancor più sulle spine, prima tra tutte, la Cuba della famiglia Castro, che riceve 97mila barili al giorno da Caracas.
Per il momento, come si diceva, a non fibrillare sono proprio i mercati del petrolio. Il Brent ha quotazioni sostenute più dalla chiusura temporanea di un oleodotto nel Mare del Nord che dalle vicende di Chavez. In ogni caso c’è una certa abbondanza di offerta che permette di non allarmarsi più di tanto. Tuttavia l’attenzione verso i futuri sviluppi non deve allentarsi. Un nuovo centro di instabilità, dopo quelli che di volta in volta emergono per la primavera araba, per le ambizioni nucleari iraniane e per le tensioni nigeriane, non è il benvenuto per nessuno.