Come riportato dal Focus SACE, dodici mesi fa le previsioni sul prezzo del greggio viaggiavano stabilmente sopra i 100 dollari al barile (USD/b). Gli investimenti fatti nel triennio precedente, con un livello di convenienza economica intorno ai 70 USD/b, erano avviati a generare profitti consistenti: il petrolio era diventato una risorsa preziosa in ogni angolo del globo, ben pagata su qualsiasi mercato e indispensabile per la crescita economica. Oggi il suo prezzo è la metà e la sua disponibilità appare quasi scontata. Non è la prima volta che il prezzo del petrolio crolla in modo così drastico e repentino.
La particolarità di questo calo è l’offerta di greggio, che rimane sovrabbondante anche grazie alla resilienza dei piccoli produttori di petrolio di scisto americani, che hanno ridotto di un terzo il numero dei pozzi attivi riuscendo a non intaccare troppo la produzione, e dell’Arabia Saudita, che è riuscita finora a convincere i Paesi dell’OPEC a non stringere i rubinetti per mantenere le proprie quote di mercato. In attesa che si disvelino gli effetti dei tagli agli investimenti in nuove attività (-30% su scala globale), la convenienza del greggio ha incentivato l’accumulazione di scorte consistenti, che potranno essere utilizzate dai mercati importatori in caso di riduzione dell’offerta, ma potranno anche ritardare la ripartenza dei prezzi.
In questo scenario, la disponibilità di greggio ha esacerbato le rivalità tra produttori e sta pesando sui bilanci degli esportatori meno solidi dal punto di vista economico-finanziario (Nigeria, Russia, Venezuela), accelerando i processi in corso nel segno dell’efficienza, della diversificazione e del consolidamento. Se dunque il prezzo del petrolio si è dimezzato, non si può dire altrettanto del suo valore, sia per l’importanza che ricopre nell’economia di produttori, esportatori e consumatori sia per l’inattesa convenienza rispetto alle fonti alternative (si vedano a questo proposito energie rinnovabili, carburanti per autotrazione, prodotti derivati…).
Lo shock petrolifero del 2014, per velocità e dimensioni, sta lasciando segni profondi sugli attori coinvolti e ha svelato in molti casi la differenza tra progetti strategici e iniziative congiunturali: effettiva complementarietà delle fonti rinnovabili, sostenibilità di progetti particolarmente complessi, sfruttamento più o meno intensivo delle risorse esistenti, domanda reale e bolle finanziarie. Ecco allora che, se un anno fa la strategia vincente per cogliere margini record era aumentare la produzione, oggi è produrre in maniera efficiente. Gestire e coprire i rischi, concedere dilazioni di pagamento e rendere più fluidi possibili i flussi finanziari lungo la filiera sono diventati aspetti in grado di incidere notevolmente sul prezzo. E mai come in questa fase è importante darsi una strategia commisurata a dimensioni e ambizioni e trovare partner adeguati alla sfida.