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Petrolio in rialzo, Shell chiede ai soci la licenza di ucciderlo

La ripresa batte alle porte e i prezzi del greggio ripartono. Proprio ora la compagnia anglo-olandese avvia l’uscita dall’oro nero nel 2050 e chiede l’ok alla nuova strategia. Un paradosso? No. Ecco perché

Petrolio in rialzo, Shell chiede ai soci la licenza di ucciderlo

La ripresa economica batte alle porte. E il petrolio si risveglia. Il Brent si accinge a chiudere la miglior settimana da inizio marzo con un guadagno nell’ordine del 7-8%, grazie ai consumi in crescita ed al ritocco all’insù delle previsioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia: di qui al 2026 i consumi saliranno fino a 104 milioni di barili al giorno, ovvero +4% rispetto al 2019, prima della pandemia. Stime ancor più ottimistiche di quelle dell’Opec+ che da maggio aumenterà di un milione di barili la produzione per sostenere la ripresa dei consumi. E gli analisti più ascoltati ritengono che ci sia margine per nuovi rialzi oltre i 72 dollari.

Eppure, ironia della sorte, proprio adesso suonano le campane a morte per l’oro nero. Dalla parrocchia che non ti aspetti: Royal Dutch Shell ha pubblicato giovedì 15 aprile il piano per ridurre dell’1-2% annuo la produzione di greggio a vantaggio delle energie rinnovabili. Con l’obiettivo di tagliare del 55% le forniture di benzina e gasolio, sostituite dall’aumento della produzione di energia (pulita) destinata alle colonnine per l’auto elettrica. Ma anche da un forte impegno nell’energia solare ed eolica. 

Per carità non è la prima volta che una major petrolifera fa pubblica ammenda e cerca di uscire dal fronte degli “inquinatori”. Bp e Total, in particolare, hanno preso impegni in quella direzione. Eni fin dal 2016 è attivo nelle rinnovabili, missione rafforzata nel 2019 dalla partnership con Cdp per il fotovoltaico. Ma Shell ha fatto un passo avanti: il piano “verde” sarà per la prima volta sottoposto al voto degli azionisti nell’assemblea del prossimo 18 maggio. Saranno loro a dover benedire l’uscita progressiva dagli idrocarburi, la missione del gruppo anglo-olandese da due secoli, a partire dal 2030, quando  le vendite di enrgia pulita rappresenteranno il 20% dei ricavi fino alla completa uscita dagli idrocarburi nel 2050 .    

Insomma, un colosso che ha fatto fortuna con il petrolio cerca una sorta di redenzione. Circondata dal sospetto degli ambientalisti: va bene annunciare l’obiettivo di “zero emissioni” nel 2050, ma che succederà nel frattempo? Che dobbiamo attenderci nel 2025 o nel 2035? Prendiamo atto della riduzione di CO2 in Occidente, ma che dire di quel che accadrà nei Paesi Emergenti, i primi consumatori nei prossimi anni? Sono le domande di Mark Van Baal, speaker di Follow This, un gruppo di 6 mila azionisti che chiede impegni precisi sul CO2 prima di avallar la nuova linea di Shell capofila delle major che stanno proponendo una politica “greener” con l’obiettivo di imporre la linea all’Api, l’associazione dei petrolieri, da sempre punto di riferimento dei “falchi”, una linea di compromesso con le esigenze del climate change.

La partita ha ovviamente un immediato riscontro finanziario. In realtà, nessuno crede che in prospettiva l’attuale incremento dei prezzi del petrolio possa rappresentare un cambio di tendenza. La vocazione verde, del resto, ha preso piede dopo che i colossi del settore hanno accusato perdite pesanti, visto che a febbraio Shell accusava un ribasso attorno al 35 per cento in un anno, ancor di più Exxon. Intanto, sottolinea il Financial Times, per la prima volta le cinque società europee più attive nelle rinnovabili (tra cui Enel) valgono in Borsa di più delle prime cinque società petrolifere. Ma nel frattempo il settore energy ha preso il volo: a Wall Street il settore ha registrato rialzi fino al 30% mentre uno dei beniamini del fenomeno rinnovabili, l’Etf Invesco Solar negli ultimi tre mesi cede l’11% cica (ma conserva un guadagno del 209%) rispetto ad un anno fa.  

E sui listini hanno ripreso quota i petroliferi, a partire da Exxon, la più sacrificata, che ha riguadagnato il 45% grazie anche al dividendo sempre generoso ( contro Shell +10% che ci ha rinunciato). Ma no mancano segnali opposti: nello shale oil, in particolare, molti produttori stanno alzando bandiera bianca, schiacciati dal peso dei debiti. E l’Agezia Internazionale sottolinea che sulla ripresa dei prezzi incombono “molte preoccupazioni” 

Ma colpisce comunque l’apparente paradosso: il petrolio risale, i Big dell’energia prendono le distanze.  

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