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“Petrolio, i prezzi recuperano ma la strada è lunga”

INTERVISTA A MATTEO DI CASTELNUOVO, Practice di Sda Bocconi ed economista esperto di energia – Nella guerra dei prezzi tra Russia e Arabia, le mosse di Trump possono portare dei parziali recuperi ma la strada per tornare ai livelli pre-crisi è lunga. Sarà anche un test per i governi. Ecco perché e cosa può succedere nei prossimi mesi

“Petrolio, i prezzi recuperano ma la strada è lunga”

Il petrolio che sprofonda e poi tenta la risalita. La guerra dei prezzi tra Russia e Arabia Saudita. Gli Usa che giocano la partita con le elezioni presidenziali di novembre sullo sfondo. Il Green new deal e la transizione energetica minacciati dallo scossone che ha investito i mercati. E insieme a tutto questo il flagello del Coronavirus che sconquassa le economie. 

Il mondo dell’energia è alle prese con un nuovo shock che ha la duplice caratteristica di investire sia la domanda che l’offerta dell’oro nero. Il Wti è precipitato a 20 dollari il barile nei giorni scorsi, poi è risalito a 27 nell’attesa di un vertice di emergenza dell’Opec Plus  mentre Donald Trump e l’Arabia Saudita parlano di possibili tagli produttivi senza tuttavia precisare né quando né come. Prezzi inimmaginabili fino a poco tempo fa tengono in suspence gli investitori mentre 3 miliardi di persone in quarantena da Covid 19 – questa è la stima pubblicata dalla Iea (International Energy Agency)  – rischiano di portare ad un calo del 20% della domanda mondiale di petrolio. Cosa può ancora succedere? Quanto può durare? E quali conseguenze avrà il terremoto in corso sui delicati equilibri dell’energia? Lo abbiamo chiesto a Matteo Di Castelnuovo, Professor of Practice della Sda Bocconi School of Management. Ecco cosa ci ha risposto.

Petrolio sulle montagne russe: dal record negativo dei 20 dollari, il Wti ha tentato il rimbalzo dopo le ultime parole di Trump e l’attesa di un vertice d’emergenza dell’Opec Plus. E’ una svolta? E quanto può durare?

Guardiamo alla situazione realisticamente. I prezzi del greggio quotavano tra i 50 e i 65 dollari prima del diffondersi dell’epidemia e per tornare a quei livelli la strada è lunga. Sicuramente Donald Trump può fare pressione per un recupero dei prezzi nel breve che consenta ai produttori americani di shale oil di sopravvivere, anche ristrutturando. Parliamo di 30-35 dollari al barile. Anche Trump dovrà fare i conti, però, con il fatto che ci troviamo di fronte ad uno shock di prezzi che ha una doppia origine e interessa sia il lato della domanda che quello dell’offerta. Su questa può incidere in qualche modo, ma sulla domanda? E’ un interrogativo che dobbiamo porci. Nel breve sono possibili aggiustamenti ma per recuperare i livelli pre-crisi i tempi saranno più lunghi, al netto di shock imprevisti”.

Da dove è partita l’attuale crisi?

“Non dobbiamo dimenticare il punto di partenza: il diffondersi dell’epidemia, il calo della domanda, le difficoltà di trovare un’intesa tra Russia e Arabia Saudita e la guerra dei prezzi che ne è conseguita. Sia i Sauditi che la Russia hanno interesse a danneggiare gli Usa che le stime dell’Energy Information Agency proiettano a 13 milioni di barili/giorno di shale oil nel 2020, una quantità notevole. E se Trump all’inizio è restato a guardare, ora ha deciso di fare sentire la sua voce ma la partita non è chiusa. Siamo agli inizi”.

Dove arriverà il calo dei prezzi? L’ultimo rapporto di Goldman Sachs ha prefigurato un crollo della domanda di 26 milioni di barili nella settimana appena conclusa (-25%) e ha persino ventilato la possibilità di prezzi negativi. Il direttore dell’Iea, Fatih Birol, non è stato da meno.

“Ci troviamo in momento estremamente fluido ed è vero che gli scenari degli analisti prefigurano anche l’ipotesi di prezzi negativi,  come già si è sperimentato per il prezzo dell’elettricità sia in Europa che negli Usa. La ragione sta nel fatto che con la caduta della domanda per effetto del lockdown dovuto al Coronavirus, si sta rapidamente saturando la capacità di stoccaggio delle scorte in giro per il mondo. E quando si verifica una congestione, sia nel caso del petrolio che in quello del gas, il produttore può avere interesse a pagare per il ritiro dell’energia. A questo si sommano le variabili politiche e geopolitiche che hanno un peso significativo in questo settore”.

Quanto possono resistere l’Arabia Saudita e la Russia alla guerra dei prezzi bassi e cosa deve cedere l’America se vuole ottenere una stabilizzazione dei prezzi?

I Sauditi puntano ad acquisire quote di mercato: hanno un costo di produzione di 9 dollari contro i 35-40 degli americani e i 15 circa dei russi. Non si può dimenticare tuttavia che il loro fiscal breakeven, cioè il prezzo necessario a far tornare i conti nazionali e sostenere i servizi ai cittadini, è di 80 dollari. Il che accorcia la capacità di resistenza a non più di 2 o 3 anni. La Russia è molto più resiliente e si stima possa resistere fino a 10 anni con prezzi bassi: sia perché ha messo fieno in cascina, accumulando scorte, sia perché ha adottato un sistema che riduce il prelievo fiscale nel caso di discesa dei prezzi. Anche i russi però stanno subendo i contraccolpi della pandemia e questo può spingere verso l’apertura di un tavolo. Negli Usa il tema è più politico”.

Le elezioni presidenziali di novembre sono alle porte. Quanto potranno incidere sulle scelte di Trump?

Essenzialmente Donald Trump deve scegliere se è più premiante, per la sua rielezione, l’effetto positivo della riduzione dei prezzi sulla bolletta energetica dei cittadini che lo votano o se deve esercitare una pressione al rialzo dei prezzi per garantire i produttori di shale oil che pure sono suoi elettori. Capiremo meglio nelle prossime settimane come intende bilanciare i due fattori e se e in che misura dovrà mettere sul piatto dei tagli produttivi”.

Questa situazione può mettere a rischio la transizione energetica e gli obiettivi di decarbonizzazione?

I maggiori rischi li vedo per la mobilità elettrica, il settore delle batterie di accumulo, e degli investimenti nelle fonti alternative come l’idrogeno. Settori in cui c’è ancora molto da fare e in cui potrebbe farsi sentire il calo degli investimenti. Le rinnovabili – eolico e solare –  non sono in competizione diretta con il petrolio ma ne risentono indirettamente perché il prezzo dell’elettricità è in qualche modo indicizzato a quello del greggio. Tuttavia ci sono delle differenze con la crisi del 2014 perché il costo delle rinnovabili è molto diminuito da allora: gli investimenti scendono ma aumenta la capacità installata. Ed è molto aumentata la predisposizione degli investitori verso gli obiettivi della sostenibilità”.

Tirando le somme, quanto può durare questa situazione di incertezza nell’energia?

“Non è mai facile fare previsioni ma credo ci vorrà tempo per una ripresa stabile dei corsi del greggio ai valori pre-crisi di 50-65 euro. Oltre ai fattori dal lato offerta di cui abbiamo parlato, va considerato che il calo degli investimenti dovuto ai prezzi bassi porterà ad un rallentamento della produzione nel medio periodo. Si spera inoltre che l’economia inizi a riprendersi e l’insieme dei due fattori porterà ad un futuro aumento dei prezzi. Nel frattempo aggiustamenti sono possibili. A meno di eventi shock che non possiamo oggi prevedere”.

In chiusura, i pacchetti di stimolo per fare ripartire l’economia dopo l’emergenza coronavirus: come impatteranno sulla transizione energetica? Addio Green New Deal?

“La richiesta di molti analisti  ma anche dell’Iea e di vari think tank è che i governi, nei piani indispensabili per accelerare la ripresa dell’economia, non intervengano a pioggia ma colleghino gli stimoli anche al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità e della decarbonizzazione al 2050. Non farlo adesso significa scaricare il peso del Climate Change sulla prossima generazione”.

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