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Petrolio e super-reti elettriche: la Cina prepara maxi-progetti

L’energia è il motore dello sviluppo e la Cina lo sta sperimentando sul campo con la sua grande fame di gas e petrolio, gli enormi investimenti sulle rinnovabili e un forte attivismo, anche a livello internazionale, in questo settore strategico. Il “continente” asiatico, seconda maggiore economia al mondo, non vuole più essere soltanto il Grande Inquinatore d’un tempo, come dimostra l’avere sottoscritto gli impegni del Cop 21 di Parigi;  è anche un Paese in cerca di acquisizioni e di cooperazione internazionale.

Due esempi descrivono bene questa nuova faccia della Cina: da un lato, sono sempre più numerose le acquisizioni di Pechino sui mercati stranieri per fare fronte ad una domanda interna di greggio ancora in crescita, con una dipendenza dal petrolio che ha superato il 55%.  Dall’altro, il colosso asiatico ha da poco presentato a Pechino i risultati degli studi di fattibilità dell’ambizioso progetto “Global Energy Interconnection” (GEI), una sorta di riedizione (aggiornata e moltiplicata per mille) del Desertec, il programma che avrebbe voluto collegare i deserti africani con l’Europa e trasportare l’enorme potenziale di energia solare da un continente all’altro ma che poi si è arenato sulle crisi politico-belliche africane ed è stato affossato dalla crisi economica che ha colpito l’occidente. Oggi la Cina rilancia e punta a un Internet dell’Energia, una super-rete elettrica in grado di trasmettere da una parte all’altra del pianeta l’elettricità indipendentemente dalla località in cui viene prodotta. La tempistica? Raggiungere il 50% di produzione elettrica da energie rinnovabili nel 2020 e il 90% entro il 2050 portando la penetrazione elettrica al 50% dei consumi finali. I costi? Naturalmente, stracciati.

LA SETE DI PETROLIO

L’ultimo shopping in ordine di tempo (marzo 2017) è stato quello di Sinopec (China Petroleum & Chemical Co.) in Sud Africa e Botswana dove il gruppo cinese ha acquisito da Chevron Global Energy il 70% di Chevron Sud Africa Ltd e il 100% di Chevron Botswana includendo nell’affare, per complessivi 900 milioni di dollari, anche le raffinerie di Città del Capo con 5 milioni di tonnellate l’anno, oltre 820 stazioni di servizio nei due Paesi, 220 minimarket e impianti di distribuzione, deposito e produzione di lubrificanti a Durban, come racconta puntualmente Lifan Li, professore associato della Shangai Academy of social sciences su EniDay. Negli ultimi cinque anni, documenta, Sinopec da sola ha investito oltre 6 miliardi di dollari Usa in progetti di downstream. L’avanzata cinese non si limita dunque alle acquisizioni nel calcio, come ben sanno i tifosi di Milan e Inter, ma da tempo interessano l’energia con risultati , come testimonia l’espansione tentata in Argentina, non sempre favorevoli.

L’INTERCONNESSIONE GLOBALE DELLE RETI ELETTRICHE

Ma c’è un progetto molto più ambizioso nei piani cinesi, quello di creare una rete globale delle reti elettriche, un Internet delle reti appunto, che colleghi impianti e consumatori su scala planetaria. “La sfida – spiega infatti Corrado Clini, ex ministro dell’Ambiente che segue il progetto cinese in qualità di consulente – non è tanto quella di produrre l’elettricità quanto quella di distribuirla nella rete globale interconnessa”. I vantaggi di un simile progetto che riuscirebbe quasi ad azzerare le perdite di energia lungo le reti e punta a collegare “elettricamente” Paesi anche molto lontani tra loro, è nei risparmi e nella possibilità di portare l’elettricità pulita ad un prezzo conveniente anche a quei 3 miliardi di esseri umani che ne sono tuttora sprovvisti. Naturalmente occorrerebbe operare su due diverse reti: quelle di trasmissione intercontinentale da realizzare in Ultra High Voltage (UHV), l’equivalente della banda ultra larga delle tlc trasferita al settore energetico; e quella delle smart grid di distribuzione.

Secondo le stime di Geidco (Global energy interconnection development and Cooperation organization, promossa dalla State Grid of China, la Terna cinese, con l’adesione di 260 imprese e istituzioni di 22 Paesi, Europa inclusa), “il trasferimento con UHV in Germania dell’elettricità prodotta dal vento in Cina – spiega ancora Clini – costerà 12 centesimi di dollaro Usa, la metà dei costi attuali dell’energia pulita per i consumatori tedeschi”. Con le reti UHV, inoltre, le perdite di elettricità lungo il percorso scenderebbero al 2-3 per cento contro valori che oscillano tra il 6% (in Usa) e il 21% (in India). Infine, secondo i piani cinesi da qui potrebbe passare la decarbonizzazione dell’economia del pianeta. La politica elettrica soft della Cina non si presenta con intenti colonizzatori ma prevede principi di “muto rispetto, parità, mantenimento degli impegni presi per il raggiungimento con soluzioni “win-win” di benefici reciproci”, affermano i documenti ufficiali. Il traguardo è il 2050. I costi di investimento del progetto non sono noti. Fantascienza? Di sicuro la Cina è sempre più vicina.

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