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Petrolio, cosa succederà nel 2017?

FIRSTonline

Ci sono due diversi gruppi di acquirenti per il petrolio: gli utilizzatori e gli speculatori. I primi rappresentano solo il 20% del totale movimentato e lo acquistano per diverse motivazioni gestionali. Si tratta di compagnie aeree, aziende che producono energia o società di raffinazione che producono i derivati come il gasolio.

Gli speculatori, al contrario, non vedono neanche il barile fisico. Lo venderanno giorni, settimane, mesi dopo, e sperando ad un prezzo migliore. Questa fetta di operatori è la prevalente e rappresenta quasi l’ottanta per cento delle contrattazioni giornaliere.

Il mercato spot diventa così spesso assai volatile, compresso tra queste due componenti di trading. Per aggirare questo rischio, gli operatori evitano di comprare petrolio ai prezzi correnti, ma diversamente trattano quello che conosciamo come “futures” – vale a dire ad un prezzo predefinito e ad una data certa. Questo “modus operandi” consente di proteggersi almeno dai rischi finanziari e dalla eccessiva volatilità del mercato di questa materia prima.

In realtà, cinque fattori influenzano il prezzo del greggio:

La domanda corrente;

L’offerta corrente;

La Domanda futura;

L’offerta futura;

Il Sentimento di Mercato.

Il prezzo del petrolio WTI sta viaggiando da inizio anno tra i 52 e i 54 dollari al barile, mentre il grafico sottostante mostra la dinamica dei prezzi nel 2016 del Brent

La quotazione ha raggiunto il suo valore massimo proprio nell’ultima seduta dell’anno a $56.82 ed un punto di minimo il 20 di gennaio a $27,88. Il prezzo medio annuo nel 2016 è stato di $45,13. Il mercato sta operando in una situazione di sovra capacità di offerta di circa 1,5 milioni di barili al giorno, rispetto alla domanda.

L’eccesso di sovraproduzione è stato in parte responsabile del significativo crollo del prezzo dai $112 del giugno 2014 ai $27 del gennaio scorso.

Da inizio 2008, la produzione di petrolio americana è praticamente raddoppiata grazie all’utilizzo della nuova tecnica di estrazione del fracking che diventa redditizia oltre i 50 dollari.

Nello stesso periodo, l’OPEC ha rifiutato di ridurre la produzione, cosa che avrebbe incoraggiato la stabilizzazione dei prezzi o perlomeno evitato il crollo verticale, nel tentativo di spingere i prezzi così in basso da rendere la produzione americana non più profittevole.

Tutto questo è significativamente cambiato nel novembre 2016 quando l’OPEC ha deciso di ridurre la produzione tra i suoi membri di 1,2 milioni di barili al giorno, alla quale si sono allineati anche i Paesi non OPEC con un taglio di 600.000 barili al giorno. Questa decisione ha provocato la risalita del greggio sopra i cinquanta dollari, consolidando la tendenza al rialzo delle quotazioni dal febbraio scorso.

L’OPEC ha inoltre recentemente dichiarato che adotterà nuovi tagli anche nel corso di quest’anno, tra giugno ed agosto, una decisione che dovrebbe in teoria sostenere il trend rialzista delle quotazioni. 

La Domanda

La richiesta di petrolio è generalmente governata dall’andamento dell’economia, dalla variazione della popolazione e dalla dimensione dei giacimenti o dalle nuove scoperte geologiche.

Nel quarto trimestre del 2016, la domanda globale è stata misurata in 97 milioni di barili giornalieri, dei quali il 56,5% consumato tra Stati Uniti, le prime cinque economie europee, Cina, India, Russia, Brasile e Giappone. Questi undici Paesi concorrono al 70% della creazione del Pil mondiale. 

La domanda di energia è direttamente proporzionale all’andamento economico, mentre quella petrolifera è più elastica in quanto legata a specifici fattori dei singoli Paesi, quali le diverse fonti di energie alternativa. 

Nel corso del 2016, la domanda di petrolio è cresciuta del 1,41%, risultato al quale hanno concorso principalmente India e Cina, in virtù dell’incremento delle rispettive popolazioni.

Il trend di spostamento dei consumi dall’Europa all’Asia si confermerà anche nel corrente anno, in scia anche alle politiche di energia alternative sviluppate nel Vecchio Continente.

Il principale shock sul lato della domanda è rappresentato dal livello di produzione americano che potrebbe influenzare la domanda mondiale.

Tra il 2008 ed il 2016, gli Stati Uniti hanno più che raddoppiato la propria produzione di greggio, passando da cinque milioni di barili al giorno a 12,40, mentre la domanda domestica è stabilizzata intorno ai 19,5 milioni di barili al giorno.

La differenza di 7,1 milioni di barili è pari al 7,4% della produzione globale mondiale.

Metà della produzione a stelle e strisce giunge dalle costose trivellazioni di “fracking” che richiede un prezzo oltre i 60 dollari al barile per essere profittevole. Più recentemente, grazie all’introduzione di nuove tecnologie, il prezzo di break-even è sceso in alcuni casi anche a $40.

Donald Trump ha promesso di ridurre le restrizioni al nuovo sistema estrattivo con l’obiettivo di rendere il settore energetico statunitense completamente indipendente. Qualora Trump riuscisse nel suo intento, il mercato mondiale calerebbe, di conseguenza, di un sette per cento ma sicuramente non già dal 2017.

OFFERTA

L’offerta di greggio è regolata da due grossi gruppi di produttori: il cartello OPEC, il più conosciuto ed importante, e quello dei Paesi che invece non vi aderisce.

Negli anni recenti, la litigiosità all’interno dell’OPEC non ha consentito alcun accordo per tagliare la produzione. L’Arabia Saudita ha cercato, al contrario, di abbassare i prezzi per mettere in ginocchio la produzione a stelle e strisce ma sembra che il progetto si sia solo in minima parte realizzato, trasformandosi in un boomerang per Ryad che deve affrontare una inaspettata crisi economica interna.

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In aggiunta all’Arabia Saudita, gli altri principali membri del cartello sono l’Iraq e l’Iran. In tutto, l’OPEC genera il 36% della produzione globale.

Tra i principali acquirenti vi sono proprio USA e Cina che devono compensare la differenza tra la domanda e la produzione domestica.

Tra i Paesi non allineati, il più importante è sicuramente la Russia che registra la seconda produzione al mondo (11,08 milioni di barili nel 2016) e la quarta posizione per la dimensione delle riserve.

In realtà, ci sono più di un dubbio che l’accordo di novembre non venga del tutto rispettato, in quanto molti Paesi hanno le proprie finanze in dissesto e sono costretti a produrre a pieno regime, approfittando di ogni rialzo dei prezzi.

COMMENTO

La risoluzione di novembre dovrebbe persistere fino a luglio 2017; in seguito potrà essere rinnovata per altri sei mesi, modificata o definitivamente cancellata.

In caso di rispetto integrale dell’accordo, la produzione mondiale dovrebbe risultare in deficit di circa 0,38 milioni di barili al giorno rispetto alla domanda e di conseguenza spingere le quotazioni del greggio oltre i $57 dollari al barile. Rimane sempre l’alea di un evento straordinario che possa influenzare negativamente l’attuale livello dei prezzi.

Uno di questi accadimenti potrebbe anche essere l’applicazione della “hard Brexit” che possa provocare uno shock della domanda o l’implementazione di alcune delle politiche elettorali di Trump o altri focolai di crisi in qualche Paese emergente, tutti shocks che potrebbero in misura diversa, riaccendere l’offerta e deprimere la domanda penalizzando di nuovo le quotazioni.

Categories: Finanza e Mercati