I paesi Opec non riusciranno a impedire un eccesso di offerta. È questa sensazione ben radicata che sta continuando a muovere le quotazioni del petrolio verso il basso, proprio alla vigilia del meeting di Vienna tra i ministri del cartello. Entrambi i punti di riferimento, West Texas Intermediate e Brent, viaggiano intorno ai minimi quadriennali e la china discendente è stata ben lubrificata ieri dal fallimento dei colloqui tra sauditi e russi.
Durante l’incontro qualche timido rincaro aveva interrotto la flessione, ripresa con maggior vigore quando è apparso chiaro che Mosca e Riad non avrebbero coordinato gli sforzi (leggi: consistenti tagli alla produzione) per sostenere le quotazioni. A deprimerle è sempre il boom dello shale oil, il greggio ottenuto dagli scisti rocciosi, grazie a cui l’estrazione petrolifera negli Usa è salita ai massimi degli ultimi trent’anni. Ma anche la domanda fiacca ha contribuito a smorzare l’ottimismo dei pochi che ancora non escludono imminenti rincari.
Domani il vertice di Vienna forse porterà a una riduzione del tetto produttivo dell’Organizzazione, ma occorrerà verificare se sarà sufficiente a riportare l’equilibrio tra domanda e offerta e se sarà rispettata dai 12 paesi aderenti al cartello dal quale proviene il 40% di tutto il petrolio mondiale. I mercati non si aspettano misure incisive. Infatti nelle ultime ore il Brent è sceso sotto i 78 dollari per libbra e il Wti sotto i 74 dollari.
Da Bijan Namdar Zanganeh, ministro petrolifero di Teheran, è anche venuta una dichiarazione che può smussare gli attriti nel cartello, perché l’Iran, così ha detto Zanganeh, non taglierà la produzione e non chiederà all’Arabia Saudita di farlo. “Le nostre posizioni – ha aggiunto – sono molto vicine ed è un bene, perché è importante che ci sia unità all’interno dell’Organizzazione”. Sul fronte di chi vuole riduzioni produttive rimarrebbe quindi il Venezuela, in una posizione isolata e con poca forza contrattuale.
Russia e Messico, coinvolti nei colloqui di ieri insieme con Arabia e Venezuela, non entreranno in un comitato ristretto da cui offrire sostegno ai prezzi. I quattro paesi hanno avuto nel 2013 una produzione media di 27,8 milioni di barili al giorno (mbg), contro i 30,97 estratti in ottobre dall’Opec e gli 86,8 mbg del totale mondiale. Un accordo a quattro avrebbe avuto un peso non indifferente, ma non è arrivato. Anzi, le dichiarazioni di Igor Sechin, ceo della major russa Rosneft, sono apparse quasi disinteressate: “L’offerta supera la domanda, è vero, ma non in misura critica e non può causare prolungati ribassi dei prezzi”. Sechin pare accettare anche l’ipotesi di minimi sempre più bassi: “una discesa sotto 60 dollari al barile non sarebbe poi così tragica per noi da imporre un immediato taglio alla produzione”.