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Petrobras, la svolta statalista di Lula per il gigante del petrolio: più potere a governo e sindacati

Prosegue il nuovo corso del colosso petrolifero brasiliano voluto dal leader socialista: meno dividendi, meno mercato e primato della politica con priorità alla transizione green. Ma un quarto del capitale è in mano a investitori esteri che ora speculano sul titolo e sul cambio dollaro-real

Petrobras, la svolta statalista di Lula per il gigante del petrolio: più potere a governo e sindacati

Che il nuovo corso di Petrobras, gigante brasiliano del petrolio che fattura l’equivalente di 100 miliardi di euro con circa 25 miliardi di profitti, preoccupasse gli investitori privati non era una novità, ma ora il restyling voluto dal presidente Lula prende sempre più forma con il rafforzamento della presenza di governo e sindacati nell’impresa controllata dallo Stato con il 28,67% del capitale e il 50,26% delle azioni ordinarie, ma pur sempre quotata in Borsa, sia a San Paolo che a New York, con gli investitori esteri che possiedono il 25,7% del capitale sociale.

L’avvio del percorso di “re-statalizzazione”

Il gigante da 40.000 dipendenti aveva iniziato il suo percorso di “re-statalizzazione” e di minore propensione al mercato già lo scorso anno, quando il presidente eletto per il terzo mandato aveva condotto una decisa battaglia per rivedere la politica dei dividendi, storicamente molto generosa al punto che Petrobras è stata per anni la società che più ne elargiva al mondo. All’inizio di quest’anno lo scontro è proseguito sull’extra cedola, che ha portato all’esonero del CEO Jean-Paul Prates, nominato dallo stesso Lula e sostituito a maggio dall’ingegnera Magda Chambriard, profilo tecnico e filo-governativo.

Le nuove nomine volute da Lula

Alla fine il dividendo straordinario è passato, anche perché ha fruttato alle casse dello Stato, primo azionista, l’equivalente di 3 miliardi di euro, ma con la nuova CEO sono arrivati anche tre nuovi direttori generali e cambiate in tutto 17 posizioni esecutive, inserendo un esponente del Partido dos Trabalhadores, il partito dello stesso Lula.

Per questo motivo non stanno mancando le polemiche, anche perché come fa ad esempio notare la stampa locale il nuovo direttore finanziario, Fernando Melgarejo, viene dal Banco do Brasil e non conosce l’inglese. L’azienda si è giustificata in una nota sostenendo che “le nuove nomine fanno parte di un normale processo di ricambio delle persone”. Tre delle nuove nomine sono invece state riservate al FUP (Federação Única dos Petroleiros), cioè il sindacato dei petroliferi, con il chiaro intento di portare Petrobras sempre di più “a contribuire allo sviluppo economico e sociale del Paese”. Del resto lo stesso Lula aveva fatto intendere, con parole anche dure, il cambio di paradigma: “Il mercato è un dinosauro vorace che vuole tutto per sé”, aveva scritto su X il presidente brasiliano lo scorso marzo, provocando il crollo del titolo Petrobras in Borsa. Titolo che ad inizio anno aveva ampiamente superato i 40 reais per azione e che oggi, dopo il minimo toccato a giugno, viaggia sui 38 reais.

La ricetta di Lula: meno dividendi, più investimenti

Insomma la ricetta Lula vuole meno dividendi, più investimenti in transizione energetica e in generale un’azienda più vicina ai progetti politici che alle esigenze del mercato. In questa direzione va ad esempio il recente annuncio del maxi investimento di Petrobras da 60 miliardi di reais (una dozzina di miliardi di euro) in nuovi progetti per diversificare la produzione e renderla più sostenibile e creare posti di lavoro: parte di quei soldi andranno sui bio-fertilizzanti, generando fino a 27.000 nuovi impieghi, mentre diversi miliardi saranno riposti nella raffineria Getulio Vargas, fondamentale per la produzione di derivati del petrolio e soprattutto di biocombustibili.

La comunità finanziaria non approva

Il nuovo corso di Petrobras è dunque improntato al primato della politica, tuttavia la comunità finanziaria non sta a guardare: prima c’è stato un fuggi fuggi, in parte rientrato, dal titolo della petrolifera in Borsa, poi più di recente il mercato – secondo una chiave di lettura della stampa brasiliana – ha voluto in qualche modo redarguire Lula iniziando un gioco di speculazione per indebolire la valuta brasiliana, il real, con il dollaro che nelle ultime settimane ha toccato i massimi dal 2021.

Non mancano nemmeno le contraddizioni dello stesso governo, che prima spinge per una transizione green e poi avalla, ad esempio, la pericolosissima estrazione di greggio dalla foce dell’Amazzonia, che potrebbe potenzialmente innescare un disastro ambientale. Intanto per Lula è in arrivo un’altra grana: la Corte dei conti brasiliana potrebbe indagare sul presidente per presunto favoritismo illegale dei Comuni amministrati da alleati del governo in vista delle amministrative di ottobre. Per la campagna elettorale, il governo avrebbe stanziato più fondi ai Comuni governati dai suoi alleati, non rispettando i criteri tecnici.

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