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Perù, morto l’ex presidente Alberto Fujimori: chi era e quale eredità (controversa) lascia

Wikimedia Commons

Alberto Fujimori, ex presidente del Perù, è morto all’età di 86 anni, dopo aver lottato a lungo contro il cancro. La notizia è stata confermata dai suoi figli attraverso un messaggio pubblicato sull’account X di Keiko Fujimori, anch’essa politica e presidente del partito “Forza Popolare”: “Dopo una lunga battaglia contro il cancro, nostro padre Alberto Fujimori è appena partito per incontrare il Signore. Chiediamo a chi lo ha apprezzato di accompagnarci con una preghiera per il riposo eterno della sua anima. Grazie mille papà!”. Il governo peruviano ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale in suo onore.

Conosciuto con il soprannome di “El Chino”, nonostante le sue origini giapponesi, Fujimori lascia un’eredità controversa. Fujimori lascia un’eredità controversa. Figura divisiva nella storia del Perù, viene ricordato da molti come il presidente che salvò il Paese dalla rovina economica e dalla minaccia dei gruppi ribelli, ma anche come il leader che instaurò un regime autoritario, segnato da violenze e abusi di potere.

Fujimori: l’ascesa al potere

Nato a Lima il 28 luglio 1938, da una famiglia di immigrati giapponesi, Fujimori si laureò in ingegneria e divenne accademico prima di intraprendere la carriera politica. Nel 1990, inaspettatamente, vinse le elezioni presidenziali battendo al ballottaggio lo scrittore Mario Vargas Llosa. Il Perù, in quel periodo, era in preda a una grave crisi economica, con un’inflazione galoppante e una forte minaccia di destabilizzazione da parte dei gruppi ribelli di sinistra, tra cui Sendero Luminoso e il Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru (Mrta).

Il primo mandato di Fujimori fu caratterizzato da profonde riforme economiche volte a stabilizzare il paese. Attraverso la liberalizzazione del mercato e una politica di austerità, riuscì a fermare l’inflazione e a rilanciare l’economia. La minaccia del terrorismo interno continuava a incombere sul suo governo e così il presidente decise di adottare misure straordinarie.

La deriva autoritaria

Nel 1992, Fujimori sciolse il Congresso con il pretesto di ottenere il controllo necessario per affrontare la crisi interna e la minaccia dei guerriglieri. Governando per decreto, instaurò un regime autoritario che si basava sul controllo militare e sull’uso della forza per reprimere i movimenti di opposizione. Fu in questo periodo che si registrarono alcuni degli episodi più oscuri del suo governo.

Tra il 1991 e il 1992, il Grupo Colina, un’unità segreta dell’esercito peruviano, responsabile della lotta contro Sendero Luminoso, compì massacri indiscriminati contro sospetti ribelli e civili innocenti. I casi più noti furono il massacro di Barrios Altos, dove furono uccise 15 persone, incluso un bambino di otto anni, e quello de La Cantuta, dove furono rapiti e uccisi nove studenti universitari e un professore. Episodi che costituirono la base delle future accuse di crimini contro l’umanità che avrebbero segnato il declino di Fujimori.

Il declino e la fuga

Nonostante le accuse di autoritarismo e gli scandali che iniziarono a emergere, Fujimori si ricandidò alle elezioni presidenziali del 2000. La sua rielezione fu segnata da polemiche, accuse di frode e l’emergere di uno scandalo legato al suo capo dei servizi segreti, Vladimiro Montesinos, che fu filmato mentre corrompeva membri dell’opposizione. Con la sua credibilità politica a pezzi, Fujimori decise di fuggire in Giappone, il paese dei suoi genitori, da dove si dimise dalla presidenza con un fax inviato da Tokyo.

Per diversi anni, Fujimori rimase in Giappone, nonostante le richieste del Perù per la sua estradizione. Nel 2005 l’ex presidente venne arrestato in Cile mentre cercava di organizzare un ritorno in politica. Estradato in Perù nel 2007, fu sottoposto a processo per corruzione, violazione dei diritti umani e abuso di potere.

La condanna per crimini contro l’umanità

Nel 2009, Fujimori fu condannato a 25 anni di carcere per crimini contro l’umanità, in particolare per il ruolo avuto nei massacri di Barrios Altos e La Cantuta, oltre che per sequestri e torture. La sentenza rappresentò un momento di svolta nella storia peruviana, poiché fu uno dei primi casi in cui un ex capo di stato fu condannato per violazioni dei diritti umani in America Latina.

Nel 2017, l’ex presidente ricevette la grazia dall’allora presidente Pedro Pablo Kuczynski per motivi di salute, ma la decisione fu annullata l’anno successivo. Nel 2023, tuttavia, la Corte Costituzionale peruviana ordinò la sua scarcerazione definitiva per ragioni umanitarie.

Nonostante la prigione, Fujimori ha mantenuto una forte influenza politica. Sua figlia Keiko Fujimori ha seguito le sue orme, candidandosi per tre volte alla presidenza, nel 2011, 2016 e 2021, senza, però, mai riuscire a vincere. Leader dell’opposizione peruviana, Keiko aveva annunciato a luglio l’intenzione di candidare suo padre, tramite il suo partito Fuerza Popular, alle elezioni presidenziali del 2026.

Un eredità controversa

La figura di Alberto Fujimori ha lasciato un segno indelebile nella storia del Perù. Per i suoi sostenitori, è l’uomo che ha salvato il paese dalla rovina economica e ha sconfitto il terrorismo di sinistra mentre per i suoi detrattori, è un dittatore che ha governato con brutalità, instaurando un regime autoritario e violando i diritti umani.

Fujimori ha incarnato l’ambiguità della politica latinoamericana: un leader capace di grandi riforme ma anche di decisioni spietate e controverse. Con la sua morte, si chiude un capitolo importante per il Perù, un paese ancora diviso tra il ricordo di un presidente che riportò stabilità e la consapevolezza di aver vissuto sotto un regime di violenza e repressione.

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