E’ una vecchia storia, che ricorre regolarmente da almeno un decennio: la possibilità di un matrimonio fra la Fiat (ora associata con Chrysler) e i francesi di Psa Peugeot-Citroen. Se ne parlava ai tempi della grave crisi del Lingotto, nei primi anni Duemila, quando la Psa di Jean-Martin Foltz era additata come modello di rinascita di un gruppo automobilistico. E’ stata evocata nel 2009, al momento dell’alleanza di Fiat con Chrysler e il tentativo (mancato) della casa torinese di accaparrarsi anche la Opel: allora il gruppo francese, sostenuto dai fondi pubblici di Parigi, resisteva alla crisi, di sicuro meglio della connazionale Renault, l’eterna rivale. Se ne riparla adesso. E, al di là di smentite e di “no comment” più o meno stizziti da parte dei due possibili interessati, una cosa è certa: mai come oggi Psa Peugeot-Citroen, che pure è il maggiore costruttore francese e il numero due europeo, ma in profonda, profondissima crisi, ha bisogno di un alleato. Soprattutto di un partner che lo svincoli dal mercato europeo. Che lo sostenga nella corsa verso i mercati emergenti.
Sempre peggio negli ultimi sei mesi. La situazione di Psa si è deteriorata rapidamente nel secondo semestre 2011, al di là anche delle peggiori prospettive degli analisti. Nei primi sei mesi le vendite avevano tenuto, nonostante la scomparsa degli aiuti alla rottamazione in vigore nei maggiori mercati europei fino al 2010, l’utile netto totalizzando 405 milioni di euro. Dopo l’estate la situazione è peggiorata: per tutti, ma per Psa ancora di più. I vertici del gruppo hanno moltiplicato i profit warning, fino ad ammettere per bocca del presidente Philippe Varin “perdite significative” nel secondo semestre. I dati definitivi non sono ancora disponibili ma potrebbero essere i conti globali del 2011 a chiudersi in rosso. La spina nel fianco di Psa è l’Europa: qui le vendite di Peugeot-Citroen si sono ridotte dell’8% nei primi undici mesi contro un calo generale nel settore dell’1,2%.
L’andamento dell’azione riflette la sfiducia degli investitori. Il titolo alla Borsa di Parigi ha chiuso il 2011 in ribasso del 56,4%, con una capitalizzazione più che dimezzata. Tanto per avere un’idea della debacle, basti ricordare che nello stesso periodo Renault (considerata fino a qualche mese fa più malmessa della concorrente) ha ceduto il 38,3%, mentre il comparto automobilistico ha perso l’anno scorso il 23 per cento. “I due costruttori francesi e Psa in particolare sono troppo esposti su un mercato maturo come quello europeo – ha sottolineato nei giorni scorsi Xavier Caroen, analista del comparto per Kepler Capital Markets a Parigi -. Mentre i loro principali concorrenti e soprattutto i tedeschi sono più esposti nei confronti dei mercati emergenti, come la Cina e la Russia e l’America latina, ma anche verso gli Usa, che potrebbero crescere nel 2012”.
I punti di debolezza di Psa. La quota di vendite in Europa di Psa corrisponde al 59% del suo totale mondiale: davvero troppo alta. Fino al 2010 Psa aveva risentito positivamente degli aiuti alla rottamazione finanziati dalla Francia e dai maggiori Paesi del Vecchio continente. Non solo: il gruppo aveva commercializzato nuovi modelli di successo (in particolare la serie Citroen Ds) realizzando quella che i vertici di Psa hanno chiamato “la montée en gamme”, il tentativo nei segmenti produttivi dove sono tradizionalmente più forti di avvicinarsi agli standard tedeschi, migliorando l’immagine presso i consumatori. Negli ultimi mesi, pero’, Psa sembra perdere colpi (va rinnovata al più presto la 207 per il segmento B). E poi esiste l’altro grande problema, i costi dell’occupazione troppo alti in Francia, ancora fondamentale (anzi, troppo) come base produttiva. Durante tutto il 2011 si è assistito a un tira e molla fra l’azienda, che vuole ridurre il numero di dipendenti in Francia, e i sindacati, che fanno resistenza. E Nicolas Sarkozy e il Governo in mezzo, in questo periodo pre-elettorale (il primo turno delle presidenziali è fissato ad aprile) restii ad avallare un ridimensionamento. Tanto più che nel 2009 Psa aveva ricevuto un prestito dallo Stato di tre miliardi di euro, con l’impegno a non delocalizzare nel breve-medio termine. Nel novembre scorso, comunque, Varin ha dovuto ammettere che sì, Psa taglierà la produzione in Europa e soprattutto in Francia (6mila posti di lavoro in meno in tutto il Vecchio continente nel 2012, di cui ben 4.300 in Francia). Nel contempo Psa ha deciso di raddoppiare gli investimenti previsti in Brasile, dove il gruppo è in forte ritardo rispetto a Fiat e Vw.
I legami con Fiat. Marchionne ha parlato di “pura speculazione” rispetto a un possibile matrimonio con Psa. Ma è certo che, al di là del Brasile, i vantaggi per Psa di agganciarsi a un tandem già fortemente internazionale come quello Fiat-Chrysler non mancherebbero. Fra l’altro Fiat e Psa collaborano già da tempo su diversi modelli, in particolare sulla produzione dei piccoli veicoli utilitari, un’alleanza che è stata prolungata fino al 2019. Quella sui monovolume, invece, si interromperà nel 2017 ma solo perché la casa torinese puo’ usufuire ormai delle piattaforme produttive Chrysler. Non mancano tra Fiat e Psa pure le affinità (diciamo) personali. Il 30% del gruppo francese è ancora nelle mani della famiglia Peugeot. Che ha da poco recuperato peso a livello mangeriale riuscendo a collocare al posto di responsabile dei marchi del gruppo uno dei propri uomini, Frédéric Saint-Geours. Il rimpasto è avvenuto nel pieno di quest’ultima, profonda crisi. La dinastia Peugeot, è risaputo, ha sempre avuto buone relazioni con quella degli Agnelli.